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Da 35 anni fianco a fianco: Mark Arm, la Sub Pop, i Mudhoney e il loro nuovo album

Photo Credit: Emily Rieman
Photo Credit: Emily Rieman

Una storia irrimediabilmente legata a doppio filo, quella che accomuna i Mudhoney e la Sub Pop Records. Una storia congiunta iniziata a Seattle nel 1988, cresciuta, evolutasi e poi esportata in giro per il mondo che in questo 2023 li vede ancora insieme per celebrare un importante trentacinquesimo anniversario. Trentacinque anni di indipendenza, di attitudine punk e di musica senza compromessi che trovano in Plastic Eternity, il nuovo lavoro della formazione americana (qui la nostra recensione), la loro naturale quadratura e prosecuzione. In occasione dell’uscita del disco abbiamo disturbato proprio Mark Arm per un veloce scambio di battute, caustico come si gli si confà da trentacinque anni a questa parte.

Mark, iniziamo ovviamente da “Plastic Eternity”: è un album dannatamente a fuoco, ancorato al presente come vostra consuetudine. Quando e come ci avete lavorato, considerando anche le difficoltà date dalla pandemia?
Grazie, questa è una cosa molto bella da sentirsi dire. Dunque, abbiamo iniziato a lavorare seriamente al disco nel Giugno del 2021, non appena tutti noi abbiamo ricevuto la nostra seconda dose del primo vaccino contro il Covid-19. Avevamo alcuni riff pronti già da prima del lockdown, quindi abbiamo rivisitato quelli e ci siamo messi freneticamente al lavoro per scriverne di nuovi.

I Mudhoney e la Sub Pop, un legame indissolubile accomunato quest’anno anche dal rispettivo trentacinquesimo anniversario di attività. Cos’è cambiato dal 1988 ad oggi, per voi come band e nel vostro rapporto con l’etichetta?
Beh, principalmente direi che adesso i Mudhoney hanno un contratto a tutti gli effetti con la Sub Pop, e la Sub Pop si occupa della contabilità vera e propria. All’inizio, nei primi giorni, non c’era niente di tutto ciò, perché in quella fase tanto i Mudhoney quanto la Sub Pop stavano ancora imparando a fare tutto.

C’è uno dei nuovi brani che mi ha colpito particolarmente, “Flush The Fascists”. Al giorno d’oggi non è più molto complicato scovarli, non trovi? Sembra quasi che esserlo non sia più una vergogna…
No, non lo è affatto… e tutto ciò è pazzesco, non trovi? Diversi anni fa ci siamo fermati ad una stazione di servizio, uscendo da Roma, e lì vendevano bottiglie di vino con Hitler e Mussolini raffigurati sulle etichette. Era tanti anni fa, molto prima dell’attuale ascesa dell’estrema destra, quindi immagino che l’idea che sia giusto massacrare milioni di persone che non pensi siano “come te” ribolla sempre da qualche parte.

La guerra in Ucraina, Trump che non vuole levarsi di mezzo, la Brexit, la pandemia… sono anni davvero movimentati questi, c’è davvero tanto da dire per una band dall’attitudine punk come i Mudhoney. C’è qualche altra band in circolazione che secondo te sta lavorando bene in quel senso? Ti faccio un nome fra i miei preferiti: gli Sleaford Mods.
Gli Sleaford Mods sono davvero fantastici. Mi piace molto il nuovo album degli Skull Practioners, però non sono sicuro di cosa parlino i loro testi.

E allora ti chiedo: cosa vuol dire oggi essere punk?
Non so, magari significa solo che stai indossando i vecchi abiti dei tuoi genitori?

Una riflessione banale che facevo con un amico qualche settimana fa: sono passati più anni adesso rispetto al 1991, di quanti ne fossero passati nel 1991 rispetto al 1967/1968, eppure a me i Novanta sembrano sempre dietro l’angolo… vuol dire che la loro forza è ancora oggi potente o solo che sto diventando vecchio?
Penso voglia dire che nel 1991 eri troppo giovane per avere bei ricordi di Woodstock e forse stavi diventando maggiorenne quando il grunge ha fatto irruzione nel mainstream. Quindi sì, sei vecchio, ma non così vecchio. Ognuno di noi ha dovuto pur iniziare da qualche parte.

Chiudiamo così: “And if there’s an end, why did it all begin?”. Sei riuscito a dare una risposta al quesito che poni alla fine di “Almost Everything”?
No amico, quella domanda rimane senza risposta.

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