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Giorgio Ciccarelli: «Per me fare musica è un’urgenza»

La fuoriuscita dagli Afterhours (piaccia o meno, la più importante band italiana degli ultimi 20 anni) di elementi di spicco come Giorgio Prette e Giorgio Ciccarelli aveva suscitato grande curiosità sul futuro artistico di questi due talenti, a tutti gli effetti una parte del patrimonio musicale italiano che sarebbe stato davvero un peccato perdere per strada. Fortunatamente non è andata così: se il primo ha cominciato una nuova avventura con i Todo Modo, per Ciccarelli c’è stato addirittura l’esordio da solista. E che esordio: “Le cose cambiano” è un disco che suona davvero bene (qui la nostra recensione), frutto di un potenziale almeno in parte inespresso nella precedente esperienza artistica. Per tutte queste ragioni una chiacchierata con Giorgio era d’obbligo: lui, tra una tappa e l’altra del suo tour, ha risposto con grande cordialità alle domande de Il Cibicida, confermandosi un personaggio tutt’altro che banale, da inserire di diritto tra le sorprese più piacevoli dell’attuale panorama italiano.

giorgiociccarelliintervista2016

Giorgio, della tua fuoriuscita dagli Afterhours si è detto e scritto tanto, penso sia inutile tornare sull’argomento. È invece interessante notare come il tuo 2015 sia stato straordinariamente prolifico: prima i Colour Moves, poi il tuo album solista. Com’è nata l’idea di riformare temporaneamente il tuo vecchio gruppo?
L’idea di riformare i Colour Moves è nata per gioco, durante la festa di compleanno del batterista, al quale abbiamo “regalato” due ore di sala prove con i suoi vecchi compagni di suonate, due ore di vero disastro ma che hanno acceso in noi un’idea che al tempo sembrava davvero folle, perché, a parte il sottoscritto, gli altri tre non toccavano il proprio strumento da circa due decenni… L’idea è stata, appunto, quella di provare a riprendere in mano i pezzi che avevamo lasciato 25 anni prima, riportarli alla luce e finalmente chiudere quella “questione in sospeso” (titolo dell’album) che avevamo lasciato aperta con il nostro scioglimento. Il risultato è andato oltre ogni nostra aspettativa, doppio vinile uscito per la berlinese Interbang Records, recensioni più che lusinghiere e la consapevolezza che la nostra musica, composta a metà degli anni ’80 è, incredibilmente, ancora attuale!

“Le cose cambiano” è un lavoro completo sotto ogni punto di vista, nonostante la tua nuova carriera solista sia appena cominciata. Le canzoni dell’album sono esclusivamente frutto del tuo ultimo periodo artistico o le tenevi da tempo chiuse nel cassetto aspettando il momento giusto?
Devi sapere che per me, fare musica, è sempre stata ed è un’urgenza, non mi fermo mai, ho sempre una canzone nuova in testa e negli ultimi anni ne ho accumulate tante, perché non tutte quelle che facevo finivano nei dischi degli Afterhours e, non avendo altri progetti musicali, le canzoni che non venivano “lavorate” le mettevo e le lasciavo nel cassetto a maturare. Ogni tanto le riprendevo, le aggiornavo, ma poi rifinivano nel cassetto in attesa di un futuro migliore che alla fine è arrivato. Per cui, per rispondere alla tua domanda, molte canzoni erano già pronte, altre le ho composte nell’ultimo anno.

Parliamo dell’eccellente artwork del disco, parte integrante e non semplicemente accessoria della tua musica. Com’è nata la collaborazione con Tito Faraci e gli altri artisti grafici coinvolti?
Te ne parlo volentieri, perché è una cosa che m’inorgoglisce parecchio e hai ragione quando dici che l’artwork non è una parte accessoria ma integrante dell’intero lavoro; il progetto si è sviluppato ed è stato portato a termine proprio con questo intento, cioè quello di offrire un prodotto, un’opera o come diavolo la si vuol chiamare, completa, dove la musica del sottoscritto si compenetrasse con i testi di Tito Faraci e le canzoni nate, con l’arte visiva dei diversi disegnatori che hanno partecipato al progetto. E il risultato, per me, è stato sorprendente! È stato meraviglioso vedere disegnate le emozioni che una tua canzone può suscitare o, più semplicemente, le sensazioni che una musica può trasmette, e in questo gli artisti visivi che hanno collaborato a “Le cose cambiano” si sono dimostrati veramente superlativi e sono davvero onorato di avere nel disco i disegni di artisti del calibro di Giorgio Cavanazzano o di Sio (anche se a questo punto dovrei citarli tutti). La collaborazione con Tito è nata quasi per caso, nel senso che ci siamo ritrovati dopo 25 anni nel backstage di un concerto dei rinati Colour Moves (al tempo ci si frequentava parecchio) e abbiamo iniziato a chiacchierare come se non fosse passato neanche un giorno dall’ultima volta che ci eravamo visti, ci siamo ritrovati subito e subito si è ricreata quell’intimità che avevamo 25 anni prima. Così, quando si è presentata l’occasione, gli ho chiesto se voleva scrivere i testi del mio album e lui ha semplicemente accettato. Per quanto riguarda i disegnatori, sono in buona parte amici di Tito, nonché suoi collaboratori visto il ruolo che ricopre nel mondo del fumetto, per cui è stato relativamente semplice coinvolgerli tutti, i restanti sono collaboratori/amici di Alino di Comicon Edizioni, uno degli editori di fumetti più attenti a quello che capita nel mondo fumettaro, nonché editore della parte disegnata del mio disco.

La domanda è scontata: com’è suonare in veste solista dopo anni di militanza negli Afterhours? Immagino siano due esperienze completamente diverse.
Certo, esperienze completamente diverse, perché diverso era ed è il mio ruolo nella band. Questa esperienza in veste di solista, però, devo dire non mi risulta per nulla nuova, perché molto simile, se non identica, a quella vissuta ad esempio con i Sux!, dove io mi occupavo della composizione dei pezzi e poi con la band cercavamo di riarrangiare e di dare un senso live ai brani, cosa che ri-succede esattamente così con il gruppo con cui porto in giro il disco oggi.

Sei nato e cresciuto a Milano, a tutti gli effetti la capitale musicale d’Italia. È ancora in salute o la situazione sta peggiorando?
Direi che la situazione è nettamente peggiorata, anzi, direi che la Milano musicale è in grave crisi, pochi posti dove suonare e poca attenzione a chi ha voglia di suonare. Credo però che sia un discorso non solo legato a Milano, ma che sia decisamente più ampio e legato a come si vede e si vive la musica nel nostro Paese, ovvero una sorta di gioco hobbistico, un passatempo da consumare bevendo una birra o facendo due chiacchiere. Questo concetto di musica è molto lontano dal mio, per me la musica è cultura e una città come Milano e un Paese come l’Italia, con la sua tradizione musicale e culturale, dovrebbero riservare un’attenzione maggiore a chi ha voglia di esprimersi suonando.

In chiusura, quali album (italiani e stranieri) ti hanno colpito positivamente in questo 2015?
Non ho dubbi, il disco italiano del 2015 è “Necroide” dei Bachi Da Pietra, quello straniero è “Necroide” dei Bachi Da Pietra…

Una malattia cronica chiamata britpop lo affligge dal lontano 1994 e non vuole guarire. Bassista fallito, ma per suonare da headliner a Glastonbury c'è tempo. Già farmacista, ha messo su la sua piccola impresa turistica. Scrive per Il Cibicida dal 2009.

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