Home INTERVISTE Marta Collica – “L’inglese il mio costume di scena”

Marta Collica – “L’inglese il mio costume di scena”

Marzo 2008: In occasione del suo “ritorno a casa” (da Berlino, dove vive, ndr) per una tappa del tour a supporto di “Pretty And Unsafe” (2007), Il Cibicida ha incontrato virtualmente la cantautrice catanese Marta Collica, per una chiacchiereta incentrata sul suo esordio da solista, il rapporto con la terra d’origine ed i mille progetti paralleli della sua convulsa carriera. Buona lettura.

Domanda: Nei lavori di ciascun artista c’è sempre una grossa componente intimistica. Ma, già dal titolo, nel tuo “Pretty And Unsafe” sembra assolutamente predominante questa componente. Possiamo considerarlo la massima espressione – fino ad ora – di Marta in musica?
Marta: “Pretty And Unsafe” descrive sicuramente sensazioni e sentimenti che mi hanno attraversato durante la scrittura e registrazione di quelle canzoni. Il mio umore è sempre abbastanza mutevole, e così le cose che scrivo e i suoni che utilizzo. E’ una raccolta di canzoni fedele ad un periodo particolare, parla di quello.

Domanda: “Pretty And Unsafe” è un lavoro molto evocativo. Come mai, dunque, la scelta della lingua inglese a scapito delle maggiori “sfumature concettuali” dell’italiano?
Marta: La scelta di esprimermi in inglese è avvenuta insieme alle mie prime esperienze di scrittura. E’ una ricerca continua che faccio sia sola che in compagnia, confrontandomi con artisti madrelingua. Mi dà una certa libertà e distacco dalle cose che dico, mi diverte, è un travestimento e un costume di scena. Non volevo essere particolarmente esplicita ma suggerire e lasciare spazio al fantasticare dell’ascoltatore. In “Pretty And Unsafe” parole suoni d’ambiente e musica volevo si miscelassero nello stesso limbo evocando immagini più che concetti.

Domanda: La copertina di “Pretty And Unsafe”, ed in generale un po’ tutto l’artwork, ha a che vedere coi testi dei brani o è una mera scelta visiva?
Marta: La copertina è nata dipingendo acquarelli e assemblando collages mentre ascoltavo il demo dei miei pezzi, contiene tracce delle stesse storie, punti di vista leggermente spostati sulle stesse emozioni. Nessuno dei miei lavori grafici o musicali posso definire premeditato o concettuale, capisco le cose che faccio dopo averle fatte e trovo i collegamenti gradualmente tra le cose dette e quello che stavo pensando prima di dirle.

Domanda: Prima di questo esordio da solista, il perno della tua carriera erano le collaborazioni con altri musicisti ed amici. Quale di queste osmosi artistiche ha influito maggiormente nel tuo percorso in solitario?
Marta: Giovanni Ferrario, Hugo Race, John Parish, Cesare Basile in modo diverso mi hanno influenzato ed ancora risuonano lungo il mio percorso. Un amico artista con cui ho collaborato meno “formalmente” ma che è stata una grande fonte di ispirazione stilistica e spinta perpetua di incoraggiamento è Howe Gelb.

Domanda: Siamo assolutamente convinti che per i musicisti i luoghi in cui vivono siano fondamentali per la loro evoluzione artistica. Per te che hai vissuto a Melbourne, a Berlino, realtà molto diverse fra loro, cosa vuol dire ogni volta tornare a Catania da un punto di vista strettamente artistico, di stimoli e spunti (tralasciando l’ovvio “ritorno a casa”)?
Marta: Questa è la prima volta in anni che torno a Catania che riesco ad apprezzare con serenità la ricchezza della nostra cultura ed influenze miscelate, è un serbatoio unico, speciale. Avere a che fare con l’attitudine generale della nostra società sino a quando non sono andata via per lunghi periodi, mi ha sempre distratto da un approccio più sentimentale; in questa città per me continua ad essere difficile trovare un comune denominatore per quello che è importante salvaguardare e fare evolvere nell’interesse di tutti, artisti e pubblico. A volte mi sembra che questo interesse comune sia inesistente, a tutti i livelli e anche quindi nell’assetto artistico della città. Per me continua ad essere difficile da credere, mi sembra più una “posa” culturale che una verità immodificabile. Adesso mi sento più distaccata da dinamiche forzate, seguo gli eventi da una certa distanza, e so che questo fa antipatia a chi deve rimanere e scontrarsi con la realtà e le malattie di un luogo, ma per me è l’unico modo per riuscire veramente a gioire ed essere fiera delle cose da cui provengo.

Domanda: Quali sono le prospettive future di un progetto ambizioso come “Songs With Other Strangers”?
Marta: Songs With Other Strangers è ambizioso e non mi illudo che ci si riesca ad orientare di nuovo, dopo questo paio di anni in ci tutti noi partecipanti ci siamo dedicati intensamente e a fasi intermittenti ad altro. Mi piacerebbe scrivere dei nuovi pezzi, chiuderci a casa di Stef Kamil Carens che ha un home studio in Belgio e registrare, poi fare un altro tour. Lo diciamo sempre ogni volta che ci rincontriamo, ma non è detto che avvenga in tempi brevi, o che riavvenga.

Domanda: Semplice curiosità e piccola anticipazione: il prossimo passo della tua carriera in che direzione sarà rivolto? Solista, Sepiatone o altro?
Marta: Multi task, che brutta parola utile! Ormai è così da un paio di anni, non posso permettermi una dedizione totale alla mia carriera solista e credo di aver capito che non mi interessa fare solo quello. Abbiamo un disco pubblicato a marzo negli Stati Uniti con Sepiatone, preparato il demo di un nuovo album, una ristampa appena uscita del primo lavoro dei Micevice con Giovanni Ferrrario, lavorerò con John Parish nei prossimi mesi agli arrangiamenti del suo nuovo disco e sto ultimando una nuova raccolta di canzoni mentre sperimento nei live con differenti collaboratori. Tenterò di tenere traccia di tutto ed arrivare tra live, artwork grafici e studio, intera al prossimo inverno.

* Foto d’archivio

A cura di Emanuele Brunetto