[adinserter block="3"]
Home INTERVISTE Scott Matthew – “E’ necessaria la presenza sia della luce, che del...

Scott Matthew – “E’ necessaria la presenza sia della luce, che del buio”

Ottobre 2009: Sarebbe retorico introdurre Scott Matthew prendendo in esame il suo aspetto. Sarebbe retorico avanzare paragoni triti e ritriti. Il cantautore australiano, giunto alla sua seconda prova su disco, non necessita più alcuna presentazione. A seguito del bellissimo concerto dinanzi al pubblico dei Mercati Generali di Catania (25 Settembre 2009), il menestrello del Queensland ci parla di sé e dei suoi progetti presenti, passati e futuri in una mite nottata settembrina. Con lo stesso garbo e la stessa eleganza che regalano le sue opere.

Domanda: Il tuo primo album si chiamava semplicemente “Scott Matthew”; quest’ultimo, invece, ha un titolo che non passa certo inosservato (“There Is An Ocean That Divides And With My Longing I Can Charge It With A Voltage That’s So Violent To Cross It Could Mean Death”). Che storia si cela dietro una simile scelta?
Scott: Naturalmente non c’è stato nulla di programmato, non ho mai deciso, in precedenza, che il primo disco sarebbe stato un self-titled ed il secondo completamente l’opposto. Semplicemente è successo, tutto qui! Ho scritto questa poesia, e ho notato come fosse in qualche modo legata a ogni singola parte dell’album, così l’ho scelta. Non ci ho pensato a lungo, non sono per niente un calcolatore, qualunque sia la decisione da prendere.

Domanda: Tra i due lavori è intercorso appena un anno. Cos’è cambiato nella tua vita, nella tua musica, in questo lasso di tempo?
Scott: Sono molto, molto più sicuro di me. Ho acquisito una coscienza maggiore della mia abilità come musicista, della mia abilità nel comunicare e trasmettere ciò che voglio comunicare e trasmettere. Prima che uscisse il disco d’esordio ero parecchio preoccupato, mi chiedevo se alla gente sarebbe piaciuto ciò che facevo, come lo avrebbero valutato. Avevo paura di essere giudicato. Ma col secondo album, ho avuto come l’impressione che potessi andare dovunque volessi andare, che potessi fare qualsiasi cosa, che avessi una completa libertà, ed era tutto ciò che volevo. Questo mi ha dato forza.

Domanda: “There Is An Ocean…” è un disco intriso di malinconia, ma qualche episodio fa eccezione. Mi vengono in mente “Ornament” e “Community”, ma soprattutto “Thistle”, che si conclude con una risata fragorosa. Ho avuto un sussulto la prima volta che l’ho ascoltata…
Scott: Vedi, penso sia necessaria la presenza sia della luce, che del buio. Io non sono sempre triste, la mia vita non è soltanto composta da ombre, anche se ascoltando la mia musica può essere lecito immaginare una cosa del genere. Amo ridere ed essere spontaneo, la felicità fa parte della mia vita come ogni altra cosa. Volevo che la gente potesse rendersene conto ascoltando il disco, capire che non sono semplicemente un fottuto miserabile (ride, ndr).

Domanda: Quindi le ultime parole dell’album possono essere considerate una sintesi dell’opera intera: “in the darkest of oceans there’s light”…
Scott: Esattamente, è proprio ciò di cui parlavo!

Domanda: La tua prima band si chiamava Nicotine, suonavate punk-rock. Poi è arrivato il turno del progetto Elva Snow. Infine la carriera solista. E’ un percorso ben definito: hai pian piano abbandonato il “rumore” delle chitarre per dedicarti al rumore delle parole?
Scott: Sì, è un percorso ben definito. Credo sia semplicemente dovuto al fatto che sono cresciuto, sono invecchiato. Ognuno di noi continua a cambiare nel corso del tempo. Io amo ancora la musica rock, mi piace molto ascoltare artisti indipendenti, ma quando si tratta di scrivere un pezzo mi sento a mio agio soltanto componendo ballate, o pezzi folk. Sono molto “tradizionalista” adesso, non sento il desiderio di misurarmi con qualcosa di diverso, ma il viaggio fin qui è stato parecchio interessante: è diventato sempre più triste, malinconico. Prima ero arrabbiato, poi ero un po’ meno arrabbiato, poi un po’ malinconico. Adesso sono malinconico e basta (ride, ndr).

Domanda: Non ho utilizzato il termine “rumore” a caso: ti definisci un “quiet noise maker”. Puoi parlarcene?
Scott: La definizione di “quiet noise maker” è molto letterale: non ho mai utilizzato la batteria nei miei dischi, è uno strumento che non fa parte della mia musica, nemmeno durante i live. Non credo sia necessaria, tutto ciò che suoniamo e registriamo è molto intimo. Non sento il desiderio di essere rumoroso o aggressivo, riesco a comunicare nel modo migliore rimanendo calmo, silenzioso. In questo risiede la mia forza espressiva.

Domanda: Hai lavorato alla colonna sonora del film “Shortbus”, che ti ha regalato un’importante vetrina. In questi giorni ho ricevuto diverse e-mail che presentavano l’evento di stasera facendo più attenzione a sottolineare il fatto che tu avessi preso parte alla pellicola, piuttosto che ai tuoi due album da solista. Ti capita spesso di ritrovarti in questa situazione? Che effetto ti fa?
Scott: Sì, capita spesso, ma onestamente non m’importa. Anzi, sono immensamente felice di aver potuto partecipare a quel film, lo adoro, e adoro John Cameron, è un mio caro amico. E gli sarò per sempre grato, perché probabilmente senza quel film non sarei qui adesso, e non farei quello che faccio. E’ stato grazie a “Shortbus” se ho ottenuto un contratto discografico ed un management, quindi non smetterò mai di ringraziare John per avermi concesso l’opportunità di scrivere i pezzi di quella colonna sonora.

Domanda: Stasera in sala si respirava un’atmosfera molto intima, molto serena. L’hai sottolineato anche tu nel corso della performance: non te l’aspettavi?
Scott: Ci speravo, assolutamente, ma non puoi mai saperlo. Non ero mai stato qui prima di oggi, non sapevo se la gente mi conoscesse, o se non gli importasse nulla di me. Magari qualcuno è arrivato fin qui per ascoltare una band rock, e invece s’è ritrovato ad ascoltare noi ed è rimasto deluso. Chissà! In questi ultimi due anni di tour abbiamo girato parecchio, e generalmente ciò che facciamo viene apprezzato in ogni caso: che in sala ci siano venti persone, o che ce ne siano molte di più, non importa. C’è un profondo senso di rispetto nei nostri confronti. Non posso dirti, quindi, che me l’aspettavo, ma… sono contento che sia accaduto lo stesso anche stasera.

Domanda: Ho letto che il tuo prossimo lavoro in studio sarà un disco di sole cover…
Scott: (Ci interrompe, ndr) No, ho cambiato idea!

Domanda: Perché?
Scott: Perché continuo a scrivere canzoni (ride, ndr)! Il disco sarà composto da pezzi originali, ma c’è comunque una novità: sarà presente qualche duetto, probabilmente cinque.

Domanda: Quali ospiti parteciperanno? Puoi farci qualche nome?
Scott: Posso farne tre: spero Joan As A Police Woman, Chris Garneau e la mia amica Holly Miranda, da New York.

* Foto d’archivio

A cura di Michele Leonardi

Nessun commento

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Exit mobile version