Ma è quando Kazu Makino lascia la tastiera per prendere basso o chitarra che cominciano le emozioni. I suoi movimenti erotici entrano nella sua voce. Sembra che i capelli e le gambe cantino con lei, quei lunghi capelli neri e sciolti che le nascondono gli occhi e che usa come fruste. Sono i pezzi vecchi che mi regalano decisamente più suggestioni, l’intensità della performance cresce man mano che si va verso la fine con In Particular e Misery Is A Butterfly. La prima parola che proferiscono è circa quindici minuti prima della fine del concerto: Amedeo si scusa, pensava stessero cominciando un altro pezzo. Ho riflettuto durante il concerto sulla natura di quella sensazione di distanza che avvertivo. Potevano essere i pezzi dell’ultimo disco (certamente non si può parlare di un disco passionale), poteva essere quella vaga aria snob newyorkese di quei tre, oppure quell’impressione velata di chi custodisce un intimo segreto e se ne guarda bene dal farlo trapelare. Mi sono invece convinta che si trattasse di un abisso. Come se Amedeo, Simone ma soprattutto Kazu avessero innalzato un vetro siderale tra quel palco e la folla sottostante. Non è vera distanza se ci pensi, un vetro può dividere pur essendo vicinissimo alle cose che divide, ma era una totale incapacità all’empatia.
Prima di cominciare il bis Kazu si lancia in un attacco aperto al Piper (presumibilmente rivolto ai suoi organizzatori): ecco cos’era quell’altro sassolino nella scarpa. Parte il bis, il pubblico è infiammato, contrariamente alla freddezza dei tre: Amedeo vuole proseguire con un ultimo pezzo, ma Kazu lo gela con un gesto irremovibile. Il concerto è finito.
A cura di Florinda Martucciello