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Cesare Basile – 08/02/2013 – Catania – Teatro Coppola

C’è un motivo che rende il Teatro Coppola estremamente diverso dai suoi, per così dire, “fratelli d’Italia”. E il motivo risiede nel nome. “Nomina sunt omina”, d’altro canto: non sto inventando niente, è vero. Ma chissà se qualcuno ci ha mai fatto caso. A differenza dei propri colleghi, infatti, che si accompagnano sovente con l’epiteto “aperto” od “occupato”, il Teatro Coppola ha mosso, a mio modo di vedere, un passo ulteriore, che lo nobilita semanticamente. Esplicitando un concetto che non è affatto implicito, dicendo palesemente, a chiare lettere, che questo teatro, il Teatro Coppola appunto, è un “Teatro dei cittadini”. Passando cioè la palla a chi per primo dovrebbe comprendere che in campo bisogna giocare di squadra. Sottotitolando un’evidenza che in Italia, da sempre, s’è trasformata in emergenza comunicativa e democratica. In pericoloso stimolo autodistruttivo. Aprendo bocca al fine di affermare, come affermava Pavese, che la politica è l’arte del possibile; tutta la vita è politica. Faccio questa premessa per (riba)dire quanto il Teatro Coppola abbia contribuito a (ri)dare ossigeno ad una città, quanto ogni evento sia doppiamente evento se avviene all’interno delle sue vecchie mura. Quanto sia bello vederlo stracolmo, com’era ieri sera. Gremito non di pubblico; ma cittadini. Sono all’incirca le 21.30 quando la mezza sala cede il passo ad un’unica luce, rivolta verso il centro del palcoscenico. Cesare Basile fa il suo ingresso in solitaria, suonando la prima parte di Introduzione e sfida prima di accogliere la formazione che, soltanto per le due date di Catania e Palermo, lo seguirà per la presentazione ufficiale di quest’ultima, riuscitissima fatica discografica. Con Manuel Agnelli al piano, Rodrigo D’Erasmo al violino, Enrico Gabrielli ai fiati, Luca Recchia al basso e Massimo Ferrarotto alle percussioni, il concerto entra immediatamente nel vivo grazie alla tiratissima Parangelia prima e alla desertica Canzuni addinucchiata poi, scritta in collaborazione con la poetessa Dina Basso (nipote dell’indimenticato Salvo). Le tracce del nuovo album si avvicendano nel loro ordine naturale: al trio blues Nunzio e la libertà, Maliritta carni, Minni spartuti segue l’energica L’orvu prima e le bellissime Caminanti e Lettera di Woody Guthrie al giudice Thayer poi.

A questo punto irrompe senza preavviso, dal precedente “Sette pietre per tenere il diavolo a bada”, Strofe della guaritrice: unico, intenso lascito pronto a sfociare nella splendida Sotto i colpi di mezzi favori, per chi scrive la punta di diamante di un’opera intera. Ora la band si ritira per meno un minuto, giusto il tempo dell’immancabile rito: saluti-applausi-applausi-saluti. E si ricomincia. Ad incorniciare queste ultime danze, tre dei brani più amati dell’ormai quasi ventennale carriera del cantautore catanese: All’uncino d’un sogno, Fratello gentile, Il sogno della vipera. Infine “un pezzo – annuncia lo stesso Basile – al quale teniamo particolarmente, e col quale ormai da qualche tempo chiudiamo i nostri live”. Si tratta de Il galeone, canto anarchico ispirato ad un componimento di Belgrado Pedrini, che al grido “O libertà, o morte!” vorrebbe porsi a conclusione d’una performance da incorniciare. La gente, però, non è dello stesso avviso: sprona il gruppo a tornare on stage per un ultimo, richiestissimo commiato che prenderà presto le sembianze di Parangelia, scelta non a caso come singolo di lancio. Di nuovo applausi-saluti-applausi; e basta così, stavolta. Tutti hanno avuto ciò che desideravano; chi più, chi meno. Ma in un Teatro dei cittadini c’è spazio soltanto per la collettività, per chi fa del bene facendolo bene, per chi ha a cuore dimostrare il fatto che i nomi, in certi casi, non sono puri purissimi accidenti ma decisioni precise, ponderate, mirate. Come lo è quella di chiamare un disco col proprio, di nome; semplicemente. Forse perché lo si sente fedele. Forse perché gli appartiene come nessun altro. Forse perché oggi, anno 2013, chiunque stia domandando a sé stesso chi sia Cesare Basile, potrà trovare risposta tra le note e le parole d’un album che n’è il ritratto fedele. E che, ne sono certo, non invecchierà in soffitta al posto suo. Perché certa musica ha bisogno di capelli bianchi, calli sulle mani, schiene spezzate, polmoni d’acciaio, rabbia e sudore. Le paillettes e i lustrini, con tutto il rispetto, li lascia volentieri a qualcun altro.

SETLIST: Presentazione e sfida – Parangelia – Canzuni addinucchiata – Nunzio e la libertà – Maliritta carni – Minni spartuti – L’orvu – Caminanti – Lettera di Woody Guthrie al giudice Thayer – Strofe della guaritrice – Sotto i colpi di mezzi favori —encore— All’uncino di un sogno – Fratello gentile – Il sogno della vipera – Il galeone —encore 2— Parangelia

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