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Club To Club Festival 2017

Sarà che sono di parte, dal momento che vivo in questa strana e grigia città fin dalla nascita, ma credo che Torino sia una delle città più belle e culturalmente stimolanti d’Europa, soprattutto a Novembre, mese che col tempo ha abituato all’arrivo nel capoluogo piemontese di una dose enorme di figate cui assistere, riassunte nell’etichetta chic “Contemporary Art Week”. Una delle tante attrazioni cittadine in questo periodo è la rassegna “Luci d’Artista”, serie d’installazioni luminose disseminate qua e là per la città a opera di importanti artisti contemporanei, tra le quali ha sempre catturato maggiormente la mia attenzione la grande scritta lucente “Cultura = Capitale”, posta sopra la facciata della Biblioteca Nazionale in Piazza Carlo Alberto. Quella semplice equazione di neon, che sintetizza con estrema efficacia ciò che pensano in cuor loro i torinesi, tanto da essere diventata una delle poche luci d’artista permanenti (trovatemi un torinese che non tira fuori la storia della prima capitale d’Italia…), è opera di Alfredo Jaar. Il celebre artista è padre di un giovincello di nome Nicolas, uno dei protagonisti del festival che è, per moltissimi, il principale motivo di vanto cittadino in questa settimana scoppiettante, il Club To Club.

Il festival musicale col tempo ha imposto attraverso la sua line up una visione di elettronica profondamente distaccata dai concittadini Kappa Futur Festival e Movement, poiché devota più che mai alla sperimentazione e all’esplorazione di tutto ciò che scavalca la semplice cassa dritta e i sintetizzatori, passando dal jazz all’hip hop fino a comparsate deliziosamente fuori luogo come quella degli Swans nel 2016. Nel mio modesto parere di ascoltatore e affezionato frequentatore dell’evento è però in quest’edizione che il cartellone di C2C ha trovato per la prima volta un equilibrio e una coerenza unica nel suo genere in Europa, spalmando su sette giorni di programmazione nomi enormi della musica elettronica, outsider ricercati, nomi semisconosciuti al grande pubblico e attrazioni sornione per il pubblico indie-generalista. Insomma, c’è stata roba per ogni palato e non ho potuto esimermi dall’assistere a tutto ciò che era umanamente possibile vedere, non potendo contare né sull’ausilio di droghe né sul dono dell’ubiquità. Procediamo, il viaggio è lungo.

 

Giovedì 2 Novembre @ Officine Grandi Riparazioni

Dopo la data zero di mercoledì 1 Novembre alla Reggia di Venaria, che m’è sembrata un’occasione per gli hipster torinesi per sfilare con i vestiti giusti e farsi notare da chissà chi nonostante l’interessante dj set dei Visible Cloaks, si entra nel vivo del festival con un evento di primo piano alle OGR, nuova ed elegante venue dalla storia post industriale ma dal cuore già sofisticato e arty. Per la prima volta a Torino arriva il gigantesco Kamasi Washington, figura centrale della musica black contemporanea e fresco dell’uscita del bellissimo “Harmony Of Difference”. Il sassofonista, con due batterie ed eccellenti musicisti al seguito, tra cui figura anche il padre, si lancia in quasi due ore di virtuosismi e grandi groove, nelle quali dà una passata di funky sui pezzoni di “The Epic”, l’esordio del 2015 che l’ha collocato in primo piano nella scena jazz mondiale.

Così come l’ultimo album, il concerto si chiude con Truth, una celebrazione dell’armonia delle differenze e della convivenza tra etnie, immagine rappresentata simbolicamente dalla sovrapposizione di tutte e cinque le melodie principali suonate nel resto di “Harmony Of Difference” (i temi di Integrity, Humility, Knowledge). Una dichiarazione artistica d’una bellezza rara che difficilmente può essere resa a parole. A seguire, il divertente sound system tra reggae, hip hop e drum’n’bass di Richard Russell, capo della XL Records, con il suo progetto Everything Is Recorded, e il set spacca-impianto di Powell, accompagnato dai visual estremamente disturbanti di Wolfgang Tillmans, che proietta sulla musica cupa e abrasiva del producer inglese video di cani dormienti, palloncini sgonfi e corridori. Non si poteva iniziare meglio il lungo weekend.

Venerdì 3 Novembre @ Lingotto Fiere

Il primo dei due main event inizia presto, troppo presto per me che mi son prefissato di conservare le energie fino all’ultimo act della serata alle 5 del mattino, così mi perdo con somma tristezza il live degli Amnesia Scanner. La serata parte quindi dal nome da me più atteso, quello di un artista che più di tutti rende l’idea di come potrà essere il suono del futuro: Arca. Il producer venezuelano non solo non delude le aspettative, ma le supera completamente, regalando alla folla del Lingotto uno spettacolo d’arte varia che racchiude musica, teatro e danza performativa, tanto da rendere quasi impossibile distogliere da lui gli occhi e prestare attenzione ai video di Jesse Kanda. Frequenze basse che trapanano la faccia si alternano e incastrano alle parti in cui Arca canta a cappella litanie quasi religiose, come quella di Piel, canzone tanto bella quanto inquietante, descrizione che può calzare a pennello anche alla presenza fisica dell’artista.

Dopo lo show, che rimane uno dei momenti più alti del festival, arriva Bonobo con band al seguito, scongiurando l’incubo di rivivere il noiosissimo dj set dell’anno scorso al Flowers Festival di Collegno. Si percepisce dalla calca asfissiante che il suo show è una delle cause del sold out, e più in generale che sia molto atteso e amato dal pubblico italiano, il quale accoglie ogni suo pezzo con un boato da arena rock, come ad esempio prima del suo classico Cirrus. Il set di Bonobo è la dimostrazione che suonare gli strumenti dal vivo serve ancora a qualcosa, perché è innegabilmente di forte impatto il calore di trombe e flauto traverso su brani come No Reason e Ontario, e se non ci fosse stata la band probabilmente avrei provato lo stesso tedio dell’anno scorso.

È già notte fonda quando sul palco arriva l’altro main act di cui ho parlato nell’introduzione, quel Nicolas Jaar che come nessun altro al Club To Club divide e fa discutere il pubblico a ogni sua partecipazione. Io, nella divisione, vado dalla parte degli annoiati e delusi per l’ennesima volta, nonostante sia lodevole la sua voce da crooner dal vivo (come nell’ipnotica No), così come il suo innegabile talento compositivo, dal momento che si parla di un artista di soli 27 anni, anche se spesso lo dimentichiamo. Nel suo live set gioca con la pazienza del pubblico e abbatte il clima uptempo creato precedentemente da Bonobo, con brevi incursioni “ballabili” come Space Is Only Noise If You Can See dopo 45 minuti dall’inizio. Ovviamente non siamo al Movement, quindi non giustifico chi urla a Jaar “di pompare”, ma bisognerebbe talvolta trovare una via di mezzo nella proposta sonora, soprattutto se si viene collocati in mezzo a un festival e non in orari da seconda o terza serata.

Da segnalare anche nel resto del venerdì il coinvolgente dj set house di The Black Madonna, ritornata in terra sabauda a pochi mesi dal Kappa Futur Festival, e il terrificante (nel senso più positivo del termine) spettacolo nella seconda sala di Yves Tumor, misterioso produttore che dal vivo non ha nulla da invidiare per presenza scenica e intensità a un gruppo black metal, con la differenza che probabilmente lui da solo fa più casino. L’incubo a occhi aperti delle 5 del mattino che solo gli artisti meno attesi del Club To Club sanno regalare.

Sabato 4 Novembre @ Lingotto Fiere

È passato relativamente poco tempo dalla mia uscita dal Lingotto con Yves Tumor al ritorno nel Padiglione 1 per assistere ai Jungle, visto che iniziano alle 21 spaccate davanti a un numero ancora basso di spettatori. Lo show è entusiasmante e gli inglesi si dimostrano una delle poche band nate negli anni di Justice e french touch che ha ancora senso di esistere. Punto d’incontro tra Chk Chk Chk e Bee Gees, è veramente difficile evitare di ballare i pezzoni dell’album omonimo, come Busy Earnin’ e Lucky I Got What I Want. Era il concerto spensierato che mancava in una rassegna entusiasmante ma dalla forte indole seriosa e cupa.

Qual era l’attrazione sorniona per il pubblico indie-generalista a cui si alludeva in precedenza? Ovviamente Liberato, alla sua seconda apparizione pubblica dopo la messa in scena estiva al MI AMI. Sarà che qui siamo a un festival che si colloca cento spanne sopra dal punto di vista della qualità, ma stavolta il misterioso progetto napoletano non trova nessun escamotage furbetto e si presenta in prima persona, col cantante delle registrazioni e altre due persone addette ai pad elettronici. Oltre i tre pezzi che tutti abbiamo avuto modo di conoscere nell’arco del 2017, viene qui presentato un inedito e lo show in un modo o nell’altro raggiunge i quaranta minuti di durata, ma è stato sorprendentemente credibile e coinvolgente, non una roba improvvisata come molti temevano. Anzi, probabilmente questa esibizione per il progetto Liberato è stata, e deve essere, il punto di partenza per un futuro sviluppo in cui si accantonerà l’hype e le cazzate per diventare una cosa sempre più grande e importante in Italia.

Se Arca il giorno prima aveva mostrato al pubblico del Lingotto un possibile sviluppo del suono in un distopico futuro, il buon Mura Masa invece incarna tutto ciò che c’è di migliore nel presente. Supportato dalla vocalist Bonzai, che non può che essere posseduta dal demonio per il modo in cui balla, canta e rappa contemporaneamente, Mura Masa snocciola una dopo l’altra le sue hit raccolte nell’album omonimo uscito quest’anno e disegna la sua visione freschissima di pop contaminato dalla trap, dall’elettronica eterea di Flume e più in generale da tutto il discorso cominciato dai Gorillaz una quindicina d’anni fa. Come se non bastasse già la gradevolezza del sound prodotto, il giovanissimo londinese sul palco suona chitarra, percussioni e canta come un talento puro che verosimilmente diventerà a breve una delle figure più importanti del panorama internazionale.

Avendo snobbato la sala due del Club To Club nella serata precedente, da sempre fucina di act spesso più interessanti di ciò che accade sul palco principale, chiudo il sabato con una doppietta italiana, quella offerta da Lorenzo Senni prima e il progetto Gabber Eleganza poi. Senni, italiano sotto contratto per la Warp Records, immagina il futuro della sonorità trance eliminando quasi del tutto elementi percussivi, lasciando nuotare il pubblico in un mare di arpeggiatori e suoni acidi. The Shape Of Trance To Come è uno dei pezzi migliori usciti quest’anno dall’Italia e dal vivo è un viaggio che consiglio a tutti di fare al prossimo passaggio di Senni nella vostra città. Tutta la cassa mancata in precedenza viene sparata in faccia a 180 bpm da Gabber Eleganza, progetto nato come blog in cui veniva recuperata l’estetica post rave e hardcore delle discoteche italiane e ora divenuto spettacolo, sotto il nome di “The Hakke Show”. Lo show è divertentissimo e catartico, anche per la presenza di un “corpo di ballo” gabberino sul palco, e la velocità estrema della musica, dopo un primo momento di estraniamento, si tramuta movimento irresistibile, come in un rituale primitivo. I giusti schiaffoni per calare in modo definitivo il sipario sul secondo main event del Club To Club.

Kraftwerk @ Officine Grandi Riparazioni

Meritano un discorso a parte gli show consecutivi dei Kraftwerk del 4, 5, 6 e 7 Novembre, per ovvie ragioni. Innanzitutto per l’estrema importanza che rivestono nella storia della musica contemporanea (senza di loro non esisterebbero tutte le cose di cui ho parlato fino adesso), ma soprattutto per l’imponenza di uno show filologico in tre dimensioni che mira a riproporre tutti e otto i loro album più importanti, da “Autobahn” fino a “Tour de France”, passando per “Computer World” e “Man Machine”. Fin dall’inizio dello show,  dettato da un robotico annuncio che recita “Ladies and Gentleman, Heute Abend Menshmachine”, si capisce di stare per assistere a qualcosa di estremamente importante. Un suono vintage e al contempo mai superato, melodie mitiche campionate ovunque, da Afrika Bambaataa fino ai Coldplay, e un’estetica curata nel minimo dettaglio che è rimasta nell’immaginario collettivo, rendono “The Catalogue 1 2 3 4 5 6 7 8” un evento dal valore inestimabile.

Sebbene siano i rappresentanti di un’elettronica cerebrale e robotica, è sempre emersa dalla musica dei tedeschi una grande dose di sentimentalismo e ironia, che hanno contaminato inevitabilmente anche lo spettacolo: durante Spacelab, la navicella spaziale proiettata sullo schermo sorvola l’Italia e atterra vicino alla Mole Antonelliana, per la gioia del pubblico munito di occhialetti 3D. Poi, per The Robots, Ralf Hutter e soci lasciano il palco in favore dei Kraftwerk veri e propri, ovvero quattro robot danzanti con le loro fattezze e le iconiche camicie rosse. Un momento che da solo è valso il prezzo del biglietto non solo dello spettacolo, ma dell’intero Club To Club 2017. Avere ospitato uno show simile, in un posto moderno e rinnovato come le OGR, non solo mette Torino sullo stesso piano di poli culturali come New York, Sydney e Tokyo, ma soprattutto rende sempre più vera quella semplice equazione di Alfredo Jaar da cui tutto questo racconto è partito. Per una settimana, i torinesi hanno vissuto nuovamente nella capitale d’Italia, almeno dal punto di vista culturale.

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