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Eddie Vedder @ Firenze Rocks (15/06/2019)

Dalla polvere di stelle alla luna piena. Il destino di Eddie Vedder a Firenze è sempre legato al cielo. Sono passati due anni esatti da quel Firenze Rocks in cui Eddie abbracciava la fiumana di gente e vaneggiava una stella cadente in picchiata sul panorama della Visarno Arena. Una scena magica, una serata magica. Ed, fasciato di argento vivo, in una delle sue più scintillanti performance e nell’abbraccio di fan e famiglia. Due anni dopo nel cielo di Firenze poche stelle, ma un’enorme luna piena a gongolare da sopra.

Eddie sale sul palco, non saluta. Non si esibisce nel suo proverbiale italiano balbettante ma tenero. Parte con la chitarra, uno-due-tre pezzi di fila senza sosta. È teso, livido. Lunatico. “The lunatic is on the grass”, canta a denti stretti sulle note di Brain Damage dei Pink Floyd. È nervoso, lo ammette lui stesso: “Amici scusate, sono nervoso, sarà questa luna, sarà che tornare qui da solo in questa città speciale mi fa sentire cosi”. E la sensazione è che Vedder sia un uomo che ha bisogno di sostegno, delle sue bambine, della figura rassicurante della moglie e forse della band. Un Rusty non più selvaggio alle prese con la luna storta e con un febbrone che lo porta a dormire fino all’ultimo minuto, ovvero mentre l’amico Glen Hansard è già sul palco.

Ma il concerto è incredibilmente intenso forse anche per questi presupposti. Eh sì, perché la tensione si tramuta in graffio e in un miscuglio di amarezza e nostalgia che lo porta sui territori del compianto Tom Petty (Wildflowers), in quelli glaciali dell’Alaska (“Into The Wild” molto presente con le sue ballate, tra tutte la più memorabile è Society a quattro mani con Hansard). E poi la stizza politica di Porch, Can’t Keep e I’m Mine con quel testo (“L’oceano è pieno perché tutti stanno piangendo / La luna piena sta cercando amici nell’alta marea”) che ci riporta a strazianti sensazioni di déjà vu.

Poi parte Black condita stavolta da quartetto d’archi e, improvvisamente, al suo scemare, quando alziamo lo sguardo al cielo, la luna è scomparsa completamente nascosta dalle nubi. Da lì Eddie si scioglie, omaggia i Clash con una versione spassosa di Should I Stay Or Should I Go e ritorna a brindare con il rosso e omaggiare l’infinito (Hard Sun). Col sorriso e con trasporto. Perché, e c’è poco da fare, i figli del sole vivono di riflessi e gocciolano di luce.

SETLIST: Cross The River – Elderly Woman Behind The Counter In A Small Town (Pearl Jam song) – I Am Mine (Pearl Jam song) – Brain Damage (Pink Floyd cover) – Immortality (Pearl Jam song) – Wishlist (Pearl Jam song) – Indifference (Pearl Jam song) – Wildflowers (Tom Petty cover) – Far Behind – Just Breathe (Pearl Jam song) – Can’t Keep (Pearl Jam song) – Sleeping By Myself – Guaranteed – Black (Pearl Jam song) – Parting Ways (Pearl Jam song) – Should I Stay Or Should I Go (The Clash cover) – Porch (Pearl Jam song) —ENCORE— Unthought Known (Pearl Jam song) – Better Man (Pearl Jam song) – Song Of Good Hope (Glen Hansard cover) – Society (Jerry Hannan cover) – Hard Sun (Indio cover) – Rockin’ In The Free World (Neil Young cover)

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