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Neurosis + Ufomammut @ Circolo Magnolia, Milano (04/07/2013)

Capisco i detrattori dell’ultima ora, quelli che definiscono le ultime prove dei Neurosis sottotono e un po’ ripetitive. Pur non essendo d’accordo, ammetto che ci sia un piccolo fondo di verità. Lo schema del gruppo è ormai noto e a tratti prevedibile, ma troverei illogico che i paradigmi vengano stravolti solo per soddisfare i capricci di chi vuol trovare il pelo nell’uovo, l’essenza stessa dei Neurosis verrebbe sacrificata. Per cosa, poi? Da una band nata nel 1985 e che ha prima dilatato la rabbia dell’hardcore con il doom (“Souls At Zero”) abbigliandola poi con lamiere industriali (“Through Silver In Blood”), ne ha plasmato l’essenza isolandone il nucleo folk (“A Sun That Never Sets”) per proiettarla, infine, in un rarefatto universo di luci e ombre psichedeliche (“The Eye Of Every Storm”), da una band del genere cos’altro ci si attende? Forse che abbassino le saracinesche prima di macchiare indelebilmente una carriera encomiabile? Sì, forse sì, e penso che ormai il capolinea sia vicino, se non già raggiunto.

Ammetto che con i mesi abbia perso parte dell’entusiasmo che aveva acceso i primi ascolti “Honor Found In Decay”, ultima prova in ordine cronologico del quintetto di Oakland e fulcro delle scalette di questo nuovo tour europeo che li vede far tappa al Magnolia di Segrate, alle porte di Milano, coi nostrani Ufomammut a far da spalla. Purtroppo giungo in ritardo, con l’aggravante che gli orari sono stati rispettati spaccando il capello in quattro, perché alle 22.00 c’è già la folta barba di Jason Roeder sullo sgabellino della batteria per un ultimissimo soundcheck prima che i Neurosis partano. Gli Ufomammut hanno già suonato e, a detta di chi li ha visti, hanno tenuto in pugno il pubblico con la loro lisergica ricetta di doom mefitico e aperture lisergiche. Gli Hawkwind del doom, come mi dice entusiasta un ragazzo.

Non faccio in tempo a ghermire una birra e a capire se ci sarà la misura della t-shirt che ho già adocchiato al banchetto che alle 22.15 spaccate, come da programma, i Neurosis danno inizio al loro show.

Appaiono subito in forma smagliante nonostante l’età avanzi e le panze siano gonfiate, soprattutto quella di Scott Kelly, che tra i 5 è quello che è invecchiato peggio. E va detto che, ok, sarà anche un po’ goffo e appesantito nei movimenti, ma rimane ugualmente temibile sul palco.

Le danze si aprono con My Heart For Deliverance, il cui finale reiterato è invero un po’ spossante, e si passa subito dopo alla minacciosa At The End Of The Road, uno dei due estratti dall’eccellente “Given To The Rising”.

Von Till e Kelly affrontano il pubblico con la padronanza dei veterani, hanno carisma da vendere. Noah Landis, i cui interventi di synth sono sempre più presenti e fondamentali, picchia sulle sue tastiere con quella dose di teatralità che non guasta. Roeder è quadratissimo e secco, Edwardson sorregge le impalcature col suo basso graffiante. Il quale si fa liquido nell’incipit della furiosa Times Of Grace, masterpiece di malvagità neurosisiana prima che la band virasse, con “A Sun That Never Sets”, verso la sublimazione del doom-folk.

Si passa per le asperità di Distill prima di raggiungere At The Well, meravigliosa anche dal vivo e uno degli apici dell’ultimo album, nonché una delle migliori composizioni di sempre del gruppo: Von Till è solenne nei versi iniziali, Kelly efferato nella cavalcata finale.

Von Till si ripete poco dopo quando intona l’immensa The Tide, il pubblico lo accompagna nel testo e io mi ci metto in mezzo, non riesco a star zitto, ho quasi la pelle d’oca. E’ un momento ieratico e dilatato, quando poi il brano esplode la band rade al suolo tutto.

E’ incredibile la potenza che i Neurosis sprigionano dal vivo. Nonostante il concerto sia all’aperto, i 5 padri del post-core vomitano addosso al pubblico una furia belluina, hanno un impatto letale. Non oso immaginare cosa sarebbe accaduto se una tale violenza si fosse riversata su di noi in un ambiente chiuso.

Ci sono ancora due estratti dall’ultimo album, We All Rage In Blood (che ha un gran tiro anche in sede live) e Bleeding The Pigs, che non mi convinceva su disco e non riesco neanche adesso a sciogliere la prognosi.

Siamo all’atto finale, quello che più aspettavo del set, perché di norma sono due i brani che chiudono le scalette dei Neurosis, e tutti e due sono tra quelli che più mi colpiscono emotivamente. Una è Stones From The Sky, ma sin dal sibillino ambiente generato dal synth di Landis intuisco che stavolta a chiudere sarà la stratosferica Locust Star. Uno degli anthem assoluti del gruppo, il brano che a mio avviso ne incarna radicalmente l’essenza brutale e sofferta. E’ un autentico assalto all’arma bianca che prende alle viscere e le sconquassa e che fa tremare letteralmente il terreno sotto i piedi. Dico sul serio. L’acme assoluta del set, una slavina inarrestabile di elettroni. Sulla veemenza liberatoria di “Locust Star” i Neurosis calano il sipario e abbandonano il palco. Senza encore, senza farse. È tutto qui.

SETLIST: My Heart For Deliverance – At The End Of The Road – Times Of Grace – Distill – At The Well – The Tide – We All Rage In Blood – Bleeding The Pigs – Locust Star

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