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Pearl Jam @ I-Days, Milano (22/06/2018)

Photo Credit: I-Days Milano

No. Non è retorica. Non possiamo essere così cinici da pensare che lo sia. Non è retorica raccontare di un uomo in difficoltà e di sessantamila amici disposti ad aiutarlo sacrificando pezzetti di egoismo. È casomai poesia, quella che non è mai mancata nel rapporto tra i Pearl Jam e i loro fan (anzi, amici). Che Eddie Vedder fosse senza voce, si sapeva dalla giornata di martedì. Il concerto dei Pearl Jam, previsto per il 19 giugno alla O2 Arena di Londra, è annullato proprio perché Eddie – risvegliatosi completamente afono – ha dovuto dire “non ce la faccio” forse per la prima volta nella sua carriera. E fa strano. Perché lui è sempre stato una stella che brilla di luce propria, un diamante puro con una serie di triangolazioni di riflessi, una gemma limpida e indipendente.

Ora, invece, quello che si presenta sul palco di Milano per l’I-Days Festival, è un ragazzo di 53 anni con degli occhi più malinconici del solito. “Amici, stasera sarete voi la mia band” – dice nel suo italiano ballerino ma apprezzabile. Ed è così che ci si comporta tra amici: basta una mezza parola, basta uno sguardo. Se c’è qualcosa che non va arriva la cavalleria ad aiutare; se la luce per una notte inizia a balbettare, saranno le candele degli altri a illuminare i passi giusti. E non è retorica. È casomai la poesia del rock‘n’roll. Quella roba che… ci potranno provare a conficcarla tra i panni sporchi della modernità, ma come un cavallo pazzo verrà sempre fuori.

Dunque, dicevamo. Eddie ha una voce sofferente, fa impressione vederlo e sentirlo così. Muove la mascella per cercare di aiutarsi nei vocalizzi, stacca la bocca dal microfono per tentare un effetto eco. Ma Milano c’è, è lì. Aiuta Eddie nel far volare in aria brani come Release, Wishlist, Given To Fly, Even Flow. Vedder evita gli acuti affidandoli in tutto e per tutto al canto di sessantamila voci. E poi c’è Corduroy, quel pezzo di “Vitalogy” in cui Eddie si difendeva dal divismo, anzi ancora di più, in cui schifava le pressioni della gente, le aspettative insolenti del pubblico. “Non voglio zoppicare perché loro camminino – cantava – morirò da solo come sono nato” – si dimenava nel lontano 1994. Ma quello era un altro Vedder: ancora scosso per la morte di Kurt Cobain (ucciso, a suo parere, anche dal peso portato dalla notorietà più nociva), più tagliente, più inquieto, in costante ricerca di una libertà che sentiva messa in discussione. Ora il cerchio si chiude perché vederlo concedere Corduroy al canto della gente è un cortocircuito meraviglioso, uno stato di amore e fiducia.

Iniziato alle 21:15 e concluso dopo due ore, quello dei Pearl Jam è un concerto più breve del solito (le forze sono quelle che sono) ma che contiene almeno un altro elemento di profondo significato. I Pearl Jam come band sono vivi. “They’re still alive” si potrebbe dire. Perché? Perché, oltre al pubblico, ad aiutare il leone ferito ci ha pensato il suo branco. Stone Gossard che torna a cantare una canzone (Mankind da “No Code”) dopo chissà quanto tempo, Mike McCready che si concede la lunghissima prova di forza di Eruption dei Van Halen, Jeff Ament che produce musica come fosse un cuoco, Matt Cameron che allunga i pezzi con abbondanti porzioni di assolo batteristici. Tutto normale, direte voi. Mica tanto. Negli ultimi anni la band è sembrata meno band. Forse un po’ appagata, forse un po’ seduta. A Milano, l’incidente a Eddie, ha avuto il merito di ricompattare un gruppo esaltando le virtù di tutti e, forse, anche di allungarne la vita.

A metà serata c’è anche il momento romantico: Eddie invita sul palco la moglie Jill (conosciuta proprio a Milano nel 2000) per festeggiare il loro anniversario con un sorso di spumante. Ma non troppo, perché gli antibiotici per restituirgli la voce non consentono sgarri (non a caso non si vede ai suoi piedi la fedele bottiglia di vino).

E poi poco prima di mezzanotte tutti a casa. A percorrere lenti il vialone di quello che fu l’Expo. Tutti esausti, stanchissimi. Sessantamila. Fare parte di una band sfianca ed emoziona. E non è retorica, casomai poesia.

SETLIST: Release (prime strofe in italiano) – Elderly Woman Behind The Counter In A Small Town – Do The Evolution – Given To Fly – Wishlist – Even Flow – Corduroy – Immortality – Eruption (Van Halen cover) – You Are – Daughter – Mankind – I Got Id – Porch – Footsteps – Black – Alive – Rockin’ In The Free World (Neil Young cover) – Yellow Ledbetter

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