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The Cure @ Firenze Rocks (16/06/2019)

Se i Tool erano inevitabilmente i più attesi (e porca misera se c’hanno asfaltati), mentre Eddie Vedder aveva l’arduo compito (portato come sempre a termine, sebbene non al 100%) di bissare la sua meravigliosa performance di due anni fa, stesso posto stessa ora, i The Cure erano l’ovvia garanzia dell’edizione 2019 di Firenze Rocks. Ci sono i trent’anni di “Disintegration” da celebrare a dovere, così come i quarant’anni della band, ricorrenze che non troppi musicisti/band riescono a portare a casa e che Robert Smith e i suoi stanno affrontando già da un anno nel miglior modo possibile: suonando, diffondendo ancora una volta il proprio verbo sui palchi di mezzo mondo.

L’età si fa sentire (Smith ha varcato la soglia dei sessanta), così i tour della band si sono diradati un po’ e adesso tra una data e l’altra ci stanno tre, quattro, a volte persino cinque giorni off. Circostanza che consente però ai The Cure di presentarsi sul palco senza perdere neanche un grammo del proprio impatto. Le loro sono da sempre esibizioni lunghe, lunghissime e anche a Firenze si toccheranno le due ore e mezza, in cui la band ripercorrerà trasversalmente l’intera carriera.

Chi vi scrive s’è trovato qui al cospetto di Smith per la decima volta, nessuna delle quali derubricabile alla voce “compitino”. No, quello i The Cure non hanno mai voluto farlo, Smith è ampiamente consapevole dell’importanza della sua musica, pezzi di vita suoi ma di riflesso anche di chi lo ha seguito per tutta o per una parte della sua parabola artistica. Ci mettono intensità i The Cure, ci mette l’anima Smith, anche quando si ritrova a cantare per la milionesima volta le hit che ne hanno decretato il successo commerciale: Pictures Of YouJust Like HeavenIn Between DaysLullabyFriday I’m In Love e Close To Me non mancano mai, Smith sa che la dimensione della sua band è radicata nel cuore e nelle teste di chi c’ha perso la serenità dietro la cosiddetta “trilogia dark”, ma anche di chi banalmente non può fare a meno di canticchiare quelle hit quando le becca in radio o in diffusione in un pub.

Accontentano tutti, anche chi si aspetta le chicche: Just One Kiss, ad esempio, oppure Wendy Time o Burn, storica soundtrack de “Il Corvo” rientrata prepotentemente e a grande richiesta nelle loro setlist dopo tanti anni di embargo. La discografia dei The Cure s’è evoluta in molteplici direzioni, così anche dal vivo s’è sempre trovato un mischione in cui s’accostano “un po’ di canzoni pop”, come le presenta lo stesso Smith riferendosi a pezzi quali The Caterpillar, The WalkWhy Can’t I Be You?, a tuffi negli abissi più bui come A Forest o la One Hundred Years con cui si chiude il set principale.

Simon Gullup col suo basso e Roger O’Donnell con le sue tastiere sono ancora l’essenza del suono dei The Cure, impossibile farne a meno (sebbene sia anche successo, negli anni) in brani come ad esempio A Forest (di cui Gullup scandisce l’incedere) o Pictures Of You (cui O’Donnell regala luccichii vari ed eventuali). Ma è Smith il magnete sul palco: parla, parla tanto, sorride, si prende in giro e guarda alle prime file come farebbe chiunque di noi entrando in un locale pieno di gente che conosce da una vita. Perché in fondo è un po’ così, per lui, per noi, un concerto dei The Cure: una rimpatriata cui ogni volta non si può fare a meno di prendere parte.

SETLIST: Shake Dog Shake – Burn – From The Edge Of The Deep Green Sea – A Night Like This – Pictures Of You – High – Just One Kiss – Lovesong – Just Like Heaven – Last Dance – Fascination Street – Never Enough – Wendy Time – Push – In Between Days – Play for Today – A Forest – Primary – Want – 39 – One Hundred Years —ENCORE— Lullaby – The Caterpillar – The Walk – Doing The Unstuck – Friday I’m In Love – Close To Me – Why Can’t I Be You? – Boys Don’t Cry

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