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The Soft Moon @ Monk, Roma (22/02/2018)

Il nuovo album di Luis Vasquez (e soci), aka The Soft Moon, ha spaccato la critica in due. Estimatori convinti (per non dire convintissimi) e convinti detrattori, su pari numero e livello. In ogni caso entrambi, generalmente, amanti quantomeno del penultimo “Deeper”; in ogni caso entrambi, c’è da scommetterci, tra gli immancabili spettatori di un suo live show.

Perché – al netto di lapalissiane idiosincrasie – l’oscuro progetto californiano difficilmente delude dal vivo a meno di inaspettati cataclismi e imprevisti. E a questo giro, come d’altronde su disco, ha persino aumentato la carica e una buona dose di rabbia. Ma andiamo per gradi. L’esibizione dei Nostri è anticipata dall’ottimo set di SΛRIN, che ci si augura di rivedere presto a Roma e per maggiore durata. EBM composta come Dio comanda, più adatta forse a chiudere la serata che ad aprirla – col suo carico di tamarrissima adrenalina. L’artista di stanza a Berlino martella i presenti per bene, nascondendosi dietro una maschera nera. E di nero tinge anche l’umore, cominciando a tracciare il tragitto metropolitano che sarà principe della notte.

A questo punto, infatti, subentrano le paranoie percussive dei Soft Moon, immediatamente forti con l’opener Criminal – che dà il titolo all’ultimo lavoro. L’opera è protagonista assoluta del set, con le bordate di pezzacci come Burn, Like A Father, Young o The Pain. Vasquez è un animale da palcoscenico e la progressione sonora che ha scelto lo aiuta a scatenarsi. L’apoteosi dark/wave/industrial con tempi sempre post punk trova infatti nel sostegno dell’EBM un alleato perfetto, chiudendo le danze di un’ora e mezza sullo sfrenato tribalismo di Want, a sua volta preceduto dall’amatissima Black. La capitale adesso è fredda, grigia, piovosa e corrotta come Sin City. Stasera ha scelto, tra le tante opzioni, la sua colonna sonora ideale.

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