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CCCP Fedeli alla linea

Quando i CCCP si formarono il mondo era ancora diviso, concretamente diviso; e USA e URSS si spartivano l’influenza in Europa. Divisa era la Germania, divisa era la politica tutta e le ideologie erano ancora materia, perlomeno pensabili. Si potevano ancora scorgere le macerie delle guerre mondiali, era ancora concretamente il Novecento: allora si poteva trovare nel punk berlinese, che era post industriale, magmatico e acciaioso la strada giusta per mettere in musica la propria piccola grande esistenza, il proprio dogmatico imperativo. Si chiamarono CCCP, Zamboni e Ferretti, ossatura stabile del gruppo che poi vedrà arrivi e partenze, come l’acronimo in cirillico dell’Unione Sovietica. Si chiamarono Fedeli alla linea, perché c’era la necessità di un dogma a cui appellarsi, nello spaesamento del secolo breve. Ma la chiamarono “musica melodica emiliana”, perché il punk era solo un mezzo, e l’Italia ancora un posto da chiamare “casa”. Germania, Italia, URSS, quello che contava davvero era stare fuori dall’Occidente capitalista: non i Sex Pistols, semmai gli Einstürzende Neubauten. Allora si potevano unire al punk anche l’industrial e il post punk, il noise, la musica d’autore, addirittura il liscio. Come spesso in questi casi, il più grande gruppo punk italiano fu grande perché non fu solo punk: dalle affinità e le divergenze con il compagno Togliatti all’afflato mistico dell’epica e del pathos, i CCCP raccontarono la gloria e lo smantellamento dei soviet, il passaggio dalla storia alla decostruzione. E si portarono dentro, profondamente, un bel pezzo di Novecento.

 

ORTODOSSIA (1984)

La prima uscita effettiva del gruppo è anticipata da una serie di EP pubblicati nel biennio ’84-’85. Il primo di essi mette subito in chiaro poetica, politica ed estetica del gruppo. C’è, in substrato, l’ideologia: ed è l’ortodossia, appunto, al dettame sovietico. Naturale è che questa forma di fedele adesione a un dogma anti-occidentale si possa tradurre solo con il figlio più disobbediente del rock occidentale, e cioè il punk. La forte consapevolezza musicale dei componenti della band, però, li rende fin da subito partecipi ma non sottomessi: il brano più rilevante di questo lavoro, Punk Islam, è la piena dimostrazione di quest’approccio critico: l’estetica punk sposa una drum machine ossessiva e i fischi saturi di Zamboni, insieme a rullate militaristiche. Al pari del programma musicale, chiarissimo è l’intento politico: allora non fideistico sarà il richiamo all’Islam, ma provocatorio contro l’Italia perbenista e filo-cattolica, e veritiera sarà l’altra auto-definizione del gruppo: punk filo-sovietico.

Brano consigliato: Punk Islam – In breve: 4/5

 

ORTODOSSIA II (1985)

Il secondo EP non è altro che la ripubblicazione del precedente con l’aggiunta di un brano. Accanto a Live In Pankow, Spara Jurij e Punk Islam, già presenti su “Ortodossia”, troviamo infatti Mi ami?. L’aggiunta è esigua, ma significativa: Mi ami?, oltre alla carica punk propria anche degli altri pezzi, si porta dietro un altro elemento tipico del connubio CCCP, e cioè una certa sensibilità al liscio, alla balera, all’Italia. Il tutto, naturalmente, storpiato e infangato dalla centrifuga punk. Ma il quadro ora è completo, e il piglio ironico e nostalgico insieme verso l’Italia li rende già pronti per l’opera completa. Intanto, la loro dimensione istrionica è suffragata dal teatro espressionista che mettono su Annarella Giudici, “benemerita soubrette”, e Danilo Fatur, “artista del popolo”, a tutti gli effetti membri del gruppo anche senza imbracciare strumenti, che con i loro spettacoli tra grottesco e sensuale, assicurano ai CCCP anche un’intensa resa live.

Brano consigliato: Mi ami? – In breve: 4/5

 

COMPAGNI, CITTADINI, FRATELLI, PARTIGIANI (1985)

A chiudere la schiera di EP pre-esordio c’è “Compagni, cittadini, fratelli, partigiani”, che segue il punk a tratti velocissimo a tratti sull’orlo della deflagrazione dei precedenti lavori. I primi tre EP vanno infatti concepiti come un unico organismo, fenomenicamente smembrato ma poeticamente coeso. E ciò non solo nella forma (in tre passi viene battuto il terreno su cui si innesteranno i lavori maggiori), ma anche nel contenuto, in senso filologico: come in “Ortodossia II” compariva uno dei loro brani celebri, che ricomparirà in seguito, anche qui fanno capolino due pezzi fondamentali della loro discografia, sebbene in una veste che subirà poi modifiche: Morire ed Emilia paranoica. La tavola è apparecchiata, i CCCP si preparano ad uscire fuori in tutto il loro disinibito splendore.

Brano consigliato: Emilia paranoica – In breve: 4/5

 

1964-1985 AFFINITÀ-DIVERGENZE FRA IL COMPAGNO TOGLIATTI E NOI – DEL CONSEGUIMENTO DELLA MAGGIORE ETÀ (1986)

L’opera che può dirsi prima di Ferretti e compagnia esce nel 1986 ed è sostanzialmente il loro capolavoro, il loro disco più punk (nella loro interpretazione) e uno dei migliori dischi punk italiani di sempre, se non il migliore. La voce di Ferretti è la voce di un uomo e non quella di un cantante, definizione dal quale si è sempre distaccato: parla, urla, salmodia, non canta. È “voce” del gruppo, nel senso biologico del termine, coscienza, spirito. E bene questa voce monotòna e non monòtona si stende come cellofan sulla chitarra furiosa di Zamboni, il basso industrioso di Negri e la drum machine anonima che lascia un tocco di post punk alla tedesca. L’album è un appiglio alla forza sovietica mentre si cerca di non affogare nel nero provinciale; Emilia Paranoica e CCCP sono manifesti della molestia da un lato del dogma salvifico dall’altro, di cui il punk è energia complice. Affiora forse il passato da operatore psichiatrico di Ferretti, se in ben otto titoli su dieci si legge un riferimento a uno stato patologico e/o tedioso: il punk è qui la medicina, che s’infrange sulla malattia sociale borghese e sull’horror vacui esistenziale. Solo una terapia, solo una terapia.

Brano consigliato: Emilia paranoica – In breve: 5/5

 

SOCIALISMO E BARBARIE (1987)

I CCCP sono stati forse i primi a portare in Italia una forma di “punk che supera se stesso”. E tale formula è la chiave d’accesso a “Socialismo e barbarie”, degno erede di “Affinità-Divergenze”: qui la voglia di esplorare anche altre terre è più spiccata rispetto al lavoro precedente, cosa che, però, provoca anche qualche sbilanciamento, impedendogli così di raggiungere la grandezza dell’album dell’86. A ja liublju SSSR, traccia d’apertura, è un altro manifesto (è l’inno sovietico in ricetta post punk), mentre un punk più asciutto rimane in Tu menti (atto d’accusa, tra l’altro, verso la farsa punk dei Sex Pistols). Sopravvive anche l’interesse per la musica popolare italiana (Oh! Battagliero) e ci si riallaccia all’esotismo mediorientale di Punk Islam con Sura e Radio Kabul. Chiaro, perciò, che si tratti di un disco composito, che tuttavia trova i suoi momenti migliori proprio in continuazione con l’album precedente: Stati di agitazione, via di mezzo tra una mitragliatrice e una catena di montaggio, è forse il pezzo migliore. Ultima nota va spesa per Libera me domine, vero e proprio canto cattolico, che, non solo traccia una scia spirituale in uno strato di macerie, simile ad una ginestra nel deserto (e forse siamo ancora nella ricerca della terapia, che, solo, qui vola più in alto), ma avvisa già dei futuri sviluppi della band, in particolare della conversione religiosa di Ferretti (e azzittisce, a questo punto, i detrattori, se già nell’87 GLF era in piena riflessione religiosa).

Brano consigliato: Stati di agitazione – In breve: 4,5/5

 

CANZONI, PREGHIERE, DANZE DEL II MILLENNIO – SEZIONE EUROPA (1989)

La discografia maggiore dei CCCP si può schematizzare con una cornice esterna composta dal primo e il quarto disco, che sono i più compatti e coerenti (e i migliori), e i due interni che sono fotografie di trasformazione. Come “Socialismo e barbarie”, anche il terzo album presenta eclettismo e novità rispetto ai precedenti, ma per la sua forza centrifuga non pareggia la qualità del primo. Il titolo, comunque, è eloquente, e dichiara la volontà di compendio: punk (Fedeli alla lira?), reggae (And The Radio Plays), etnica (Le qualità della danza), new age (Reclame) e si potrebbero aggiungere post punk, canzoni popolari, ritmi iberici. Quest’oscillare tra eclettismo e disordine ha contribuito a separare la critica: senza sbilanciarsi troppo, ci si può limitare in questa sede a considerarlo importante punto di anticipazione dei CSI. Qui, infatti, si riduce notevolmente la lotta politica, per un riscoperto misticismo (medievale e moderno) teso a sprigionare la componente animica dell’uomo (teste Madre). Con questa chiave va letto il disco, la politica non più crudamente militante, ma come risveglio della terra, dell’Europa. Filo rosso, ancora, un pezzo post punk eleggibile a migliore dell’album: quel Svegliami (Perizia psichiatrica nazionalpopolare) che prende Stati di agitazione e lo tramuta in un sovietismo meno ortodosso e più sofferto.

Brano consigliato: Svegliami (Perizia psichiatrica nazionalpopolare) – In breve: 4/5

 

EPICA ETICA ETNICA PATHOS (1990)

Il quarto e ultimo lavoro dei CCCP porta a compimento quanto abbozzato dal terzo, presentandosi come perfetto capitolo finale. Innanzitutto un importante cambio di formazione: i CCCP incorporano i membri uscenti dei Litfiba (Maroccolo al basso, De Palma alla batteria, Magnelli alle tastiere) ed anche quello che era il loro fonico (Canali, qui alla chitarra). Il surplus di musicisti provoca una complessità maggiore di arrangiamenti che si distacca dal punk nudo e crudo degli esordi e già prefigura ciò che saranno i CSI. Che sia il mondo circense di Mozzill’o Re o quello brutalmente noise di Narko’$, i CCCP sono qui più che altrove un’esperienza più che un gruppo, una compagine, una stanza. Un miscuglio perfetto tra incanto e disastro, legato dalla consapevolezza che il comizio politico s’è fatto malinconico e piovoso, espresso da lunghe suite del tedio dove le chitarre impazziscono all’infinito insieme alle tastiere (Maciste contro tutti, Aghia Sophia). Ciò che abbiamo davanti è una profonda coerenza di sonorità e spirito, dove allo smantellamento dell’URSS corrispondono uno smantellamento sonoro (la voce di Ferretti si piega già in un misticismo tonale) e la chiusura della parentesi storica CCCP. “Epica Etica Etnica Pathos” è una porta che si chiude: quel “CCCP” corale in Maciste contro tutti, quell’Annarella messa in coda sono il saluto di chi ormai vuole solo essere lasciato lì, in pace.

Brano consigliato: Maciste contro tutti – In breve: 5/5

Antonio Francesco Perozzi è meravigliato dall'esistenza. Perciò, cerca di darsi da fare in ogni campo che tratti l'essere umano come un problema da scandagliare. Recita un po' di rock nei suoi Nefas, scrive romanzi e poesie, ma trova più domande che risposte.

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