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Arctic Monkeys – Humbug

Nelle puntate precedenti degli Arctic Monkeys… Nel 2003 la demo di una giovane band di Sheffiled sbarca sul web incastrandosi nei blog di mezzo Regno Unito. Loro si fanno chiamare Scimmie Artiche e diventano in breve gingillo “cool” del rock britannico, senza aver ancora pubblicato neanche una nota. Il tam tam si fa così martellante che la Domino li mette sotto contratto, raccoglie le canzoni che galleggiavano in rete e pubblica nel 2006 il disco “Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not”. Alex Turner e compagni hanno poco meno di vent’anni in quel momento, portano i capelli corti e spettinati, rollano nelle loro chitarre lo-fi, calzano Converse alla moda e funzionano, soprattutto per il pubblico inglese sempre lesto a lanciare tormentoni. Nel frattempo il popolo di internet li ripaga anche fuori dal web: il disco stritola il precedente record di vendita alla prima settimana che detenevano gli Oasis. Passa solo una primavera ed ecco che le Scimmie pubblicano “Favourite Worst Nightmare” (2007). I ritmi punk decelerano, i pezzi si fanno meno (solo meno) radio-friendly e il tutto è compattato. Turner è il ragazzo che fa arrossire le ragazzine, è il cantante pulito che vive coi genitori, è il fenomeno del momento, è più simpatico di Pete Doherty. Gli Arctic realizzano pienoni nei palazzetti, inanellano presenze tv, battono record. E poi veniamo, finalmente, ad oggi, agosto del 2009. Il ritorno si chiama Humbug, è stato registrato a Rancho De La Luna, in California, e vede dietro ai fornelli Josh Homme, direttamente dal deserto di pietra. Risultato? Le scimmie non sono più artiche. S’è sciolto il gelo attorno a loro. Ora il loro pelo irto è picchiato dal sole e dai bassi. “Humbug” è il disco migliore degli Arctic Monkeys perchè ha in dote così tanti suoni come non ci si aspettava da loro. Il rock remmiano di My Propeller, l’erotismo iggyano di Crying Lightning, il poppismo coldplayano di Secret Door, il punk placibiano di Pretty Visitors e in generale, una varietà di temi e di ritmiche che proprio difettava nei primi due dischi. Turner poi canta anche meglio, senza fretta e senza squarciagola “teen”. Gli Arctic si fanno band matura, escono dai diari femminili e si schiantano nel mondo dei grandi. Basta ascoltare, per avere una controprova, la coda finale della bella The Jeweller’s Hands: canto a coro, assolo di chitarra, rullata a marcia, inserti di xilofono, slide guitar per un finale coi fiocchi. E poi? Il resto nelle prossime puntate.

(2009, Domino)

01 My Propeller
02 Crying Lightning
03 Dangerous Animals
04 Secret Door
05 Potion Approaching
06 Fire And The Thud
07 Cornerstone
08 Dance Little Liar
09 Pretty Visitors
10 The Jeweller’s Hands

A cura di Riccardo Marra

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