[adinserter block="3"]
Home RECENSIONI Boris – W

Boris – W

A due anni dal devastante tritacarne metallico del precedente “NO” (2020) i Boris hanno deciso di dare esso un seguito che, nelle intenzioni, fosse da considerarsi di pari passo – anche concettualmente, dato che il suo titolo, appaiato a “NO”, dà la parola “NOW”. Inteso come commento ai provvedimenti politici in tutto il mondo presi per la gestione della pandemia, “NO” era furibondo, brutale e traeva la linfa dalle influenze hardcore e trash della band giapponese, ma conteneva, forse involontariamente, un indizio per il futuro: il singolo “Loveless”.

Infatti con W sembra che i Boris si siano trasformati improvvisamente nella band di Belinda Butcher e Kevin Shield, con una sorprendente dominanza di sonorità ambient e shoegaze; un beat che non sarebbe fuori posto nello stoner o nel doom, ma sapientemente posto sullo sfondo dalla produzione della band, mentre un oceano sonoro di drone, all’interno del quale vaghe e leggere onde rumoristiche lo interpuntano, e la voce di Wata, ora suadente e confortante, ora inquietante, quasi parte del drone, in qualche maniera. E, non bastasse, in questo delicato equilibrio di suoni si inseriscono elementi elettronici. Sorprendente? Beh, forse non poi così tanto, dato che al ventisettesimo album e in trent’anni di carriera il gruppo giapponese non ha mai smesso di stupire, anche talvolta facendo storcere il muso ai più (l’incompresa incursione pop di “New Album” del 2011 ne è un esempio).

All’interno di questa apparente oasi di pace – che tuttavia nasconde degli incisi di tensione all’interno delle progressioni armoniche, come accade ad esempio in Drowning By Numbers – viene piazzata The Fallen, con un riff doom metal e un suono in apparenza più duro del morbidissimo ambient e drone del resto di “W”. Ma, a un ascolto più attento, questo pezzo in sé racchiude il concetto che i Boris hanno voluto creare con i due album: “A continuous circle of harshness and healing”. E, infatti, diverse delle strutture prendono le mosse da pezzi di “NO” (la più evidente connessione è certamente tra I Want To Go To The Side Where You Can Touch… e la “Interlude” su “NO”), in un’ennesima dimostrazione della straordinaria cura dei dettagli di questa band eccezionale.

“W” non è un excursus, né una sperimentazione fine a sé stessa. È un altro tassello nel complicato mosaico della carriera dei Boris. E forse questa diversità (e, talvolta, estrema radicalità) non li renderà mai una band amata da centinaia di milioni di persone e che riempie agevolmente uno stadio, com’è accaduto ad altre band metal. Ma forse ciò è perché delle convenzioni del metal se ne sono sempre bellamente fottuti. E sarà la qualità di rendere quelli che per altri potrebbero essere giochi, divertissement, degli elementi straordinari della propria discografia a far sì che i Boris abbiano per sempre un posto di rilievo nella storia della musica dei loro tempi.

(2022, Sacred Bones)

01 I Want To Go To The Side Where You Can Touch…
02 Icelina
03 Drowning By Numbers
04 Invitation
05 The Fallen
06 Beyond Good And Evil
07 Old Projector
08 You Will Know (Ohayo Version)
09 Jozan

IN BREVE: 4/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.

Nessun commento

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Exit mobile version