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Chris Cornell – Scream

Da quando li ha mollati, ad ogni uscita, che sia stata griffata Audioslave o in solitario, non si è fatto altro che ricordare che Chris Cornell era la voce suprema e mente dei Soundgarden. Bene, dimentichiamocelo, o per lo meno, lasciamo questo nient’affatto trascurabile dettaglio da adesso nel cassetto dei meravigliosi ricordi. Quelli del passato, quello che non torna più, punto. Il presente è triste, angusto, ma soprattutto vergognosamente vomitevole. Il Chris Cornell che a petto nudo, in mezzo al deserto, carbonizzava l’aria coi versi dell’incandescente “Jesus Christ Pose” la bellezza di diciassette anni fa non è nemmeno parente del venticinquesimo grado dell’aspirante pop star al cospetto della quale ci troviamo oggi. Dopo l’avvilente “Carry On”, lavoro che denotava l’assenza più drammatica di idee ed ispirazione ma che, almeno per sommi capi, poteva essere ascritto nell’enorme mondo del rock, Christopher John Cornell, in stretta collaborazione col suo entourage di manager, ha deciso di darsi una lustrata all’immagine ed il non più nostro s’è gettato nella mischia per tentare di ascendere a nuovo idolo per una nuova generazione di teenagers sempre più povera di fari artistici. La generazione della coprofagia musicale, ben inteso, quella dove l’i-pod è l’insalatiera per la macedonia quotidiana che accoglie tutti assieme senza soluzione di continuità Rhianna e Metallica, Anna Tatangelo e i Negramaro, il nuovo successino punk-emo di turno e, se si è in prossimità della calda stagione estiva, il futuro tormentone latino-americano che ci perseguiterà per tre mesi filati. Un posto per i singoletti di Christopher là in mezzo ci può stare, ma certo che ci può stare. Il sagace entourage e C. J. Cornell (con le sole iniziali fa più pop-star, non è vero?) hanno chiamato per l’occasione il guru del pop milionario Timbaland: chi non ne fosse al corrente, è colui che ha impacchettato hit-singles di successo planetario come “Cry Me A River” di Justin Timberlake e altri di Nelly Furtado, ha collaborato con Gwen Stefani, Linkin Park, Elton John, Madonna, Hilary Duff. Avete capito di quale mondo faccia parte. Qui Timbaland si mantiene ben al di sotto del minimo sindacale, creando basi che sembrano essere state tirate fuori da qualche tastierina midi ritrovata tra le centinaia ammassate nella soffitta. Chi non conosce gli ultimi risvolti della carriera di Christopher John si starà quindi sicuramente domandando cosa ci faccia invischiato con un tizio come Timbaland (sgombriamo il campo da equivoci: nel suo campo è uno coi controcazzi)? Beh, ci fa che canta canzoni come Never Far Away tentando di far il verso a Justin Timberlake, o Part Of Me, il cui video culminato da una rissa in tipico disagio-sociale-style farebbe l’invidia dei rapper gangsta tutti milioni e coca e gnocca che MTV sponsorizza tutto il giorno. Watch Out piacerebbe a Britney Spears per inserirla come b-side di un singolo scelto a sua volta come b-side per un altro singolo. L’incipit del disco poi è una leccornia, con i primi sedici secondi scippati al jingle della Metro Goldwyn Mayer (manca solo il nerboruto ruggito del leone ed il plagio è compiuto) ed i restanti, prima del vigoroso attacco di “Part Of Me”, che sembrano una sorta di rivisitazione della intro di “Pipppero” di Elio e le Storie Tese. Poi ci si imbatte in cose come Long GoneEnemy, canzonette scialbe dai testi senza nemmeno il minimo dosaggio di sale. Il poppettino smidollato votato all’r’n’b al quale Christopher John Cornell ed il suo entourage di manager ripongono speranze di successo non appartiene al mondo di chi è cresciuto a suon di “Badmotorfinger” e “Superunknown”, e nemmeno di chi ha apprezzato la seppur discutibile associazione con Tom Morello e soci negli Audioslave. E poi, che titolo all’album: avrebbe potuto dargli un tono più filosofico chiamandolo, non so, “The Ethics Of Mercenary” (in italiano “L’Etica del Mercenario”, che ben calza all’opera), oppure conferirgli un afflato più evangelico giocando di metafora con, anche qui non so, “Judas As Me”. E invece tira dal cilindro un impegnatissimo Scream, per non far troppo scervellare il consumatore che ne richiede una copia al megastore di turno. Quello di Christopher John Cornell è uno dei voltafaccia più scandalosi della storia del rock, c’è davvero poco da dibattere a riguardo. Si arriva alla fine di questo “Scream” nauseati, profondamente sconcertati dalla consapevolezza che C. J. Cornell è passato dall’altra parte della barricata, e da queste parti non ce lo vogliamo più. Che se ne stia coi suoi nuovi amichetti a tentare di fare la new sensation del pop a quarantacinque anni suonati. Torniamo a mettere su i vecchi dischi, quelli gloriosi che tante emozioni ci hanno regalato, mentre sul percorso da intrattenimento che Christopher John Cornell ed il suo entourage di manager intendono caparbiamente proseguire possiamo tutti quanti tranquillamente metterci un ciclopico masso sopra.

(2009, Interscope)

01 Part Of Me
02 Time
03 Sweet Revenge
04 Get Up
05 Ground Zero
06 Never Far Away
07 Long Gone
08 Scream
09 Enemy
10 Other Side Of Town
11 Climbing Up The Walls
12 Watch Out
13 Take Me Alive

A cura di Marco Giarratana

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