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Fantastic Negrito – Please Don’t Be Dead

Dal 1989 a oggi, la Interscope Records ha trasformato in moneta sonante tutto quello che ha sfiorato (si pensi a Nine Inch Nails, No Doubt, Marilyn Manson, Eminem, Black Eyed Peas, solo per citarne alcuni). Il caso di Xavier Dphrepaulezz, con quell’aria spelacchiata e un moniker che ricorda tanto la volpe di Wes Anderson, fu uno dei pochissimi flop della label di Santa Monica, anche se forse era verosimile immaginare che non sarebbe finita lì.

Il lato B della vita del musicista di Oakland inizia dopo un incidente da cui, nel 1999, esce vivo per miracolo; risvegliatosi dal coma e recuperato l’uso delle braccia, nel 2017 vince un Grammy per il miglior album di contemporary blues (“The Last Days Of Oakland”), apre i live di Chris Cornell e regala al mercato due lavori di grande pregio. Please Don’t Be Dead non è un disco innovativo, le anime di Led Zeppelin, Cream e Jimi Hendrix si aggirano indisturbate in tutte le tracce, ma è un album coraggioso, opulento nelle strutture armoniche e nei testi.

Fantastic Negrito riesce perfettamente a riportare il blues alla sua genesi, al tempo in cui ancora non era un veicolo per virtuosismi chitarristici ma uno strumento per canalizzare sofferenza e disperazione. Un totale di undici tracce in cui sensazioni di preoccupazione e rabbia sono affrontate senza analgesici, così come emerge  il risentimento per vite prostituite all’abuso di droghe in Plastic Hamburgers, con riff che rievocano Jimmy Page, la descrizione spregiudicata dell’alienazione del popolo afroamericano in The Suit that Won’t Come Off, che mette in rilievo la sua continua sottomissione e un’integrazione mai avvenuta e che probabilmente mai si verificherà.

Non solo blues, ma anche il funk e il soul di Never Give Up e Bullshit Anthem, oppure l’illusione di percepire una washboard dentro i loop ritmici e un pianoforte a singhiozzo di Transgender Biscuits, che conferiscono all’album una ricchezza sonora che la black music ha da tempo messo da parte.

Xavier Dphrepaulezz incarna il senso politico della blackness ed è uno di quegli artisti in grado di indurre al “passing”, fenomeno ben più ampio ma comunque riassumibile nella volontà dei musicisti bianchi di appropriarsi della consapevolezza nera, cambiando colore e allontanandosi dalla propria razza per acquisire credibilità musicale e culturale. Stavolta la Interscope ha mancato un goal a porta vuota.

(2018, Cooking Vinyl)

01 Plastic Hamburgers
02 Bad Guy Necessity
03 A Letter to Fear
04 A Boy Named Andrew
05 Transgender Biscuits
06 The Suit That Won’t Come Off
07 A Cold November Street
08 The Duffler
09 Dark Windows
10 Never Give Up
11 Bullshit Anthem

IN BREVE: 3,5/5

Catanese, studi apparentemente molto poco creativi (la Giurisprudenza in realtà dà molto spazio alla fantasia e all'invenzione). Musicopatica per passione, purtroppo non ha ereditato l'eleganza sonora del fratello musicista; in compenso pianifica scelte di vita indossando gli auricolari.

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