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Fenne Lily – Breach

Dopo aver interamente scritto e registrato nella sua cameretta il debut “On Hold” (2018), la giovane Fenne Lily è stata presa sotto l’ala della Dead Oceans: la conferma del contratto stipulato con l’etichetta discografica era arrivata a Marzo insieme all’annuncio del sophomore e la pubblicazione di due singoli non inclusi, “Hypochondriac” e “To Be A Woman Pt. 2”. Classe ’97, la cantautrice originaria del Dorset è sempre stata circondata dalla musica: oltre ad aver ricevuto in dono dalla madre una collezione di vecchi vinili e aver iniziato a studiare pianoforte a otto anni, ha imparato a suonare la chitarra da autodidatta e lavorato per due anni in un negozio di dischi, durante i quali ha ampliato maggiormente le sue conoscenze in campo musicale. Tra gli artisti preferiti figurano Leslie Feist, PJ Harvey, Cat Power, Joni Mitchell e progetti sperimentali quali Pond, Tame Impala e Warpaint.

Breach ha un’impostazione diaristica e ancor più introspettiva rispetto al suo predecessore, i testi personali ruotano principalmente attorno alla differenza tra solitudine, in quanto accadimento subìto e negativo, ed essere soli per scelta con la possibilità di concentrarsi sulla propria persona. Il sound unisce indie folk e rock, richiamando in parte quello dei lavori di Lucy Dacus, e la voce interessante di Lily è molto vicina a quelle di Dido, Weyes Blood e Sharon Van Etten. Tutto ciò la rende una perfetta “antagonista” della collega e amica Phoebe Bridgers, altra enfant prodige di casa Dead Oceans che ha da poco pubblicato il secondo lavoro in studio, “Punisher”.

La breve e leggera To Be A Woman Pt. 1 funge da apripista a due brani chiave, ovvero la ritmata Alapathy e la pacifica Berlin. La prima, il cui titolo è un neologismo che unisce le parole “apathy” e “allopathic”, critica la mancanza di cure nel moderno trattamento medico dei problemi di salute mentale, parlando dei disagi affrontati da Fenne per curare disturbi come l’ansia, mentre la seconda fa riferimento al mese trascorso in solitaria nella capitale tedesca dopo aver concluso il tour.C’è spazio anche per i sentimenti, anche se in maniera non convenzionale, con la triste ballad Elliott, la bizzarra relazione tra l’artista e un ragazzo sussurrata nell’ironica I, Nietzsche, e gli archi della dolceamara Birthday.

L’intermezzo Blood Moon, dominato dal piano e un lontano accenno di chitarra,funge da spartiacque con la seconda parte dell’album, che ritrova dei ritmi sostenuti con la speranzosa e liberatoria Solipsism, altra traccia di punta. I Used To Hate My Body But Now I Just Hate You parla nuovamente di un rapporto finito male ed è seguita dal riempitivo strumentale ’98, in cui si può sentire la voce della cantautrice, recuperata da un vecchio nastro, quando aveva appena un anno. Caratterizzata da lunghi sospiri e silenzi, Someone Else’s Trees si sofferma ancora sull’infanzia della cantante, raccontando un episodio in cui aveva rischiato di morire, mentre la successiva Laundry And Jetlag conclude il disco sotto il segno di una tentata guarigione e il bisogno di liberarsi da tutto ciò che è sbagliato.

Ormai a pochi passi dalla “sorella maggiore” americana Phoebe Bridgers, Fenne Lily prosegue il suo processo di maturazione: “Breach” rappresenta una tappa importante e fa letteralmente “breccia”, come dice il titolo stesso. Da ascoltare (e riascoltare) volentieri, è la perfetta colonna sonora di tutti quei pensieri o ricordi che balzano alla mente di tanto in tanto, alla quale si guarda a volte in modo ironico, altre volte decisamente sardonico.

(2020, Dead Oceans)

01 To Be A Woman Pt. 1
02 Alapathy
03 Berlin
04 Elliott
05 I, Nietzsche
06 Birthday
07 Blood Moon
08 Solipsism
09 I Used To Hate My Body But Now I Just Hate You
10 ’98
11 Someone Else’s Trees
12 Laundry And Jetlag

IN BREVE: 3,5/5

Studentessa di ingegneria informatica, musicofila, appassionata di arte, letteratura, fotografia e tante altre (davvero troppe) cose. Parla di musica su Il Cibicida e con chiunque incontri sulla sua strada o su un regionale (più o meno) veloce.

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