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Half Moon Run – A Blemish In The Great Light

Non ci voleva certo un veggente, nel 2012, per rendersi conto di cosa i canadesi Half Moon Run fossero andati a cercare con il loro debutto discografico “Dark Eyes”: pop folk sulla scia degli infinitamente (ma giustamente?) più blasonati colleghi Mumford & Sons, un po’ di ammiccamenti al mondo indie e atmosfere ovattate come se piovesse. Bravi, missione compiuta al primo tentativo e bis messo in saccoccia già tre anni dopo con “Sun Leads Me On” (2015), un sophomore furbamente riferito all’esordio ma venato di qualche piccola ma sensibile variazione sul tema.

Dopo quattro anni rieccoli con A Blemish In The Great Light, un album che dà ancora un’altra aggiustata alla loro formula e che si fa apprezzare per le medesime qualità dei predecessori: ai quattro non piace proprio sedersi a contare i risultati ottenuti (leggasi un certo buon feeling con le radio), né tantomeno star lì a battere il ferro finché è caldo. Così ecco una lavorazione ponderata a sufficienza e poi la sorpresa del singolo Favourite Boy, vagamente eighties nell’utilizzo dei synth che gli viene applicato e per questo sorprendente nell’economia degli Half Moon Run.

Gioca sulle onde la band, vedi gli archi dell’iniziale Then Again che sul finale si distorcono (più o meno lo stesso percorso che si segue negli oltre sette minuti di Razorblade), vedi l’accoppiata Natural Disaster/Black Diamond che guarda a certi Coldplay seconda maniera, vedi la strumentale pianistica Undercurrents, vedi la più marcatamente indie Jello On My Mind, arrivando alla conclusiva New Truth che pesca qualcosa – specie negli incroci di voci – dai californiani Local Natives, altri che in quanto ad atmosfere sanno il fatto loro, ulteriore segno di come il punto d’osservazione degli Half Moon Run sia oggi vari(eg)ato.

Pur non rinnegando le origini, che trovano qui spazio soprattutto in Flesh And Blood e Yani’s Song, gli Half Moon Run hanno deciso con “A Blemish In The Great Light” di proseguire sulla strada già tracciata con “Sun Leads Me On”, fatta di piccole e continue aggiunte, di ricami e arabeschi che contribuiscono a una progressiva e apprezzabile complessità strumentale. Un disco di transizione, ma con classe.

(2019 Glassnote)

01 Then Again
02 Favourite Boy
03 Flesh And Blood
04 Natural Disaster
05 Black Diamond
06 Yani’s Song
07 Razorblade
08 Undercurrents
09 Jello On My Mind
10 New Truth

IN BREVE: 3/5

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