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Jimi Hendrix – Both Sides Of The Sky

Finiranno mai gli album di vecchie registrazioni di Hendrix risistemate? E, se ciò dovesse accadere, ci troveremmo ad ascoltare duetti virtuali, ologrammi e porcherie del genere? Beh, a quanto sembra, siamo assai vicini a scoprire la risposta a questo annoso quesito.

Parrebbe, ma non vogliamo dare notizie imprecise, che queste siano le ultime registrazioni disponibili, almeno tra quelle che il divino ha registrato in studio – restano quindi tonnellate e tonnellate di live, vivaddio, registrazioni che, a sentire il curatore (il leggendario ingegnere del suono Eddie Kramer), fanno parte di una trilogia iniziata con “Valleys Of Neptune” nel 2010 e continuata nel 2013 con “People, Hell And Angels”. Hendrix era un profeta e, in quanto tale, ogni sua parola, registrazione, immagine è stata analizzata in maniera quasi maniacale allo scopo di capire quale direzione avrebbe intrapreso.

Sarebbe andato ancora oltre i suoi tre capolavori di studio che lo hanno consegnato alla storia come il Leonardo da Vinci della chitarra elettrica? Avrebbe forse fatto un passo verso il pop, o forse verso il jazz del suo amico Miles Davis, o ancora verso la rumba, la samba, la ancora ignota lambada? Con buona pace dei filologi, non lo scopriremo mai, e non sarà questo Both Sides Of The Sky a svelarci l’arcano, questo lo affermiamo senza timore di smentita.

Tra storie belle ma già sentite (Hear My Train A Comin’, Power Of Soul) e vecchie conoscenze di chi bazzica gli ambienti virtuali dove si scambiano bootleg del profeta (Send My Love To Linda, Cherokee Mist), emergono, sorprendentemente, novità come Georgia Blues (cantata da Lonnie Youngblood), Woodstock e $20 Fine (cantate da Stephen Stills, con Jimi al basso nella prima), il che non è cosa da poco, considerando quanto siano stati saccheggiati gli archivi in questi anni. Due cose sorprendono: la prima è sicuramente l’assoluta qualità del lavoro fatto in studio, che rende un vero piacere l’ascolto. La seconda è che – finalmente, oseremmo dire – la raccolta non ha punti deboli, tracce noiose, abbozzi pessimi.

È una compilation solidissima di materiale che difficilmente si può definire innovativo rispetto agli exploit di studio pubblicati con Hendrix in vita, ma che risulta assai più piacevole di tante altre compilation simili pubblicate negli anni (e, credeteci, tra bootleg e release ufficiali, parliamo di taaa-ahnte), con un focus molto specifico sul blues e hard rock. È una goduria sentire Hendrix in gran forma, intento in jam session con amici e compari. Gli album di archivio sono finiti, signori, o almeno così pare. Adesso preparatevi, incominceranno a piovere concerti, uno dopo l’altro.

(2018, Legacy)

01 Mannish Boy
02 Lover Man
03 Hear My Train A Comin’
04 Stepping Stone
05 $20 Fine
06 Power Of Soul
07 Jungle
08 Things I Used To Do
09 Georgia Blues
10 Sweet Angel
11 Woodstock
12 Send My Love To Linda
13 Cherokee Mist

IN BREVE: 3,5/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.

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