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Katy Perry – Witness

È luogo comune come la prima cosa fatta da una donna quando ha intenzione di dare una svolta alla propria vita sia cambiare acconciatura. Prendendo per buono l’assunto, Katy Perry non poteva quindi scegliere biglietto da visita migliore dello sbarazzino taglio corto e ossigenato che sfoggia ultimamente e sulla copertina di questo Witness, per palesare la sua voglia di cambiamento. Ed effettivamente il quinto lavoro della californiana ha una facciata che si discosta parecchio da quanto fatto fino ad ora.

Non è un caso che i singoli estratti dal disco siano andati bene negli Stati Uniti (pur non raggiungendo risultati eclatanti) ma meglio in Europa, dove anche il pubblico mainstream è sempre un tantino più pretenzioso. Partiamo da Chained To The Rythm, che vanta il featuring di Skip Marley (nipote di quel Marley) e un testo oltre che un videoclip che sono una sorta di critica sociale a una società vista come lobotomizzata; poi c’è Bon Appétit e qui il feat. è del collettivo Migos, che regala al pezzo un modernissimo andamento trap. Infine Swish Swish che è al tempo stesso la prova più innovativa del repertorio della Perry e anche la più efficace: il feat. di lusso c’è anche qui ed è quello del prezzemolo Nicki Minaj, ma soprattutto c’è la produzione di Duke Dumont, guru della deep house che ci mette un bel po’ del suo per segnare in positivo le sorti del brano.

Ecco, sono proprio i personaggi alternatisi alla scrittura/produzione delle tracce di “Witness” a fare la differenza: su tutti l’onnipresente producer svedese Max Martin che, come sempre, fa il buono e il cattivo tempo. Ognuno dei nomi tirati in ballo rende il proprio apporto molto, molto riconoscibile, e ciò fa bene alla varietà del disco e all’articolazione della nuova dimensione della Perry: c’è Sia che mette lo zampino in Hey Hey Hey, il producer australiano Hayden James in Déjà Vu (uno dei passaggi più interessanti di “Witness”), Jack Garratt che regala a Power il suo tocco r’n’b, Mike Will Made It in Tsunami, DJ Mustard in Save As Draft e pure gli Hot Chip nella conclusiva Into Me You See. Come detto, ciascuno di essi (e degli altri, davvero tanti, chiamati in causa) non fa solo presenza ma in un modo o nell’altro orienta l’album.

Tra house, EDM, trap, tropical e chi più ne ha più ne metta, il filo conduttore sono le tantissime tastiere anni Ottanta, a partire dalla title track che apre il disco e passando per Roulette sono loro a farla da padrone. Non ognuna delle quindici tracce ha i geni della hit, altrimenti staremmo qui a parlare di un capolavoro pop: ad esempio Mind Maze o l’EDM di Pendulum e Bigger Than Me (ispirata a Hillary Clinton di cui Perry è stata sostenitrice alle ultime presidenziali americane) mostrano una stanca che era ampiamente preventivabile con una tracklist così lunga. Mentre nei momenti più “classici”, vedi la ballatona Miss You More, Katy Perry va sul sicuro rimanendo nella sua comfort zone.

A parte i singoli citati all’inizio, i ritmi di “Witness” sono piuttosto bassi e cadenzati, in linea tanto con lo stesso approccio della popstar americana, meno scanzonato, brioso e colorato che in passato, quanto nell’artwork che fa un po’ il verso ad “Aladdin Sane” di David Bowie e che lancia pure un qualche messaggio (da capire quale, nel dettaglio) con quell’occhio che spunta dalla bocca della Perry. La perfezione realizzativa è impareggiabile, come (quasi) sempre quando ci si trova al cospetto di produzioni del genere, quindi almeno da quel punto di vista “Witness” è il disco che ci si aspetta da una popstar del calibro di Katy Perry. Per il resto, un album che probabilmente non soddisfarà del tutto la fanbase di Katy ma che potrebbe ampliarle e non poco il pubblico.

(2017, Capitol)

01 Witness
02 Hey Hey Hey
03 Roulette
04 Swish Swish (feat. Nicki Minaj)
05 Déjà Vu
06 Power
07 Mind Maze
08 Miss You More
09 Chained To The Rhythm (feat. Skip Marley)
10 Tsunami
11 Bon Appétit (feat. Migos)
12 Bigger Than Me
13 Save As Draft
14 Pendulum
15 Into Me You See

IN BREVE: 3,5/5

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