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Lee Ranaldo – Between The Times And The Tides

Lee Ranaldo, al pari dell’amico e collega Thurston Moore, rappresenta una porzione consistente del rock degli ultimi trent’anni. Perchè, sempre al pari di Moore, la sua chitarra al fulmicotone ha fatto scuola come pochissime altre esperienze, trasversalmente tanto nei generi quanto negli stili. Inoltre, giusto per continuare con questo gioco di parallelismi, i due si sono divisi nel corso degli anni fra le folate noise nei Sonic Youth e le rispettive carriere da solisti, ribattendo quasi colpo su colpo l’uno alle pubblicazioni dell’altro. Non tutto il materiale cui hanno dato luce ha riscosso consensi, questo è chiaro, ma il non saper stare fermi è un fattore talmente positivo per un musicista da consentirci di perdonarli. Moore è uscito pochi mesi fa con “Demolished Thoughts”, un lavoro superbo che ha cristallizzato il talento cantautorale del lungagnone di casa Youth. Poteva essere da meno il buon Lee? Certo che no, quindi eccolo a noi con questo Between The Times And The Tides, ennesimo capitolo di una storia solinga nata già sul finire degli eighties. In mezzo a tante similitudini fra le due figure, però, doveva pur esserci qualche elemento di rottura, ed è facile riscontrarlo nell’approccio stesso a quest’ultima e più recente dimensione solista dei due. Laddove Moore ha virato verso il folk d’autore Ranaldo, invece, decide di non abbandonare l’aspetto corale. “Between The Times And The Tides” suona prepotentemente come certi R.E.M. d’annata, a cominciare dall’inarrestabile vena melodica – e, perché no, pop – di brani come l’opener Waiting On A Dream (il giro di chitarra è un velato omaggio a Paint It Black?), Off The Wall,  la lunghissima Xtina As I Knew Her e soprattutto Angles e Fire Island (Phases), che ad un primo impatto paiono tutt’altro che opera di una cinquantaseienne icona del rock. La loro freschezza, la loro verve sbarazzina e nient’affatto forzata, ne fanno un lavoro potenzialmente nelle corde di una indie-band di sbarbatelli. Poi però getti un orecchio più attento a quel modo di pizzicare le corde e, anche se i feedback restano nel cassetto, la mano risulta inconfondibilmente quella. A parte le più cantautorali Hammer Blows e Stranded, dunque, è il “formato band” a trasparire: non a caso ad accompagnare Ranaldo in quest’album ci stanno, fra gli altri, Steve Shelley, Jim O’Rourke e Bob Bert (tutti e tre in orbita SY), e poi Nels Cline (Wilco), John Medeski, Alan Licht e Irwin Menken. Un’ottima serie di all star che rende bene l’idea del tipo di lavoro voluto da un Ranaldo che perde – almeno stavolta – il confronto diretto con Thurston Moore ma senza demeritare.

(2012, Matador)

01 Waiting On A Dream
02 Off The Wall
03 Xtina As I Knew Her
04 Angles
05 Hammer Blows
06 Fire Island (Phases)
07 Lost (Plane T Nice)
08 Shouts
09 Stranded
10 Tomorrow Never Comes

A cura di Emanuele Brunetto

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