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Marilyn Manson – The Pale Emperor

thepaleemperorA vederlo imbolsito sulle pagine dei rotocalchi statunitensi non gli daresti più un euro come rockstar. A risentire i suoi ultimi tre lavori in studio (eccezion fatta per parte dell’ultimo “Born Villain”) non crederesti mai che Brian Warner possa ancora avere qualcosa da aggiungere alla sua discografia. Invece The Pale Emperor, nono album firmato dal Reverendo, è un disco che potrebbe segnare a sorpresa l’affermazione di una nuova dimensione per quell’acuto provocatore che sconvolse l’establishment americano con la trilogia del Verme.

Malato cronico di protagonismo, Marilyn Manson compie con “The Pale Emperor” la definitiva virata verso quei territori in cui una band sembra diventare solo accompagnamento strumentale e non anche parte del processo creativo/interpretativo (e diciamo sembra perché, in fin dei conti, sono della partita Twiggy Ramirez, il compositore di soundtrack Tyler Bates, Gil Sharone degli Stolen Babies e la chitarra southern di Shooter Jennings, non proprio gli ultimi arrivati). Killing Strangers, la stupenda The Mephistopheles Of Los Angeles, Slave Only Dreams To Be King, Cupid Carries A Gun e la conclusiva Odds Of Even, infatti, pagano incredibilmente pegno a un blues scarno e sporco che mai si sarebbe pensato nelle corde di Brian Warner. Forse è troppo parlare di cantautorato, ma vedere questo Manson del 2015 come un Johnny Cash in salsa gotica potrebbe non essere un’eresia.

Ma c’è anche dell’altro: Warship My Wreck è un crescendo industrial come Manson non ne tirava fuori da molti anni, The Devil Beneath My Feet e Birds Of Hell Awaiting presentano l’aggancio al passato fatto di sussurri e marce arrembanti, mentre i singoli Deep Six e Third Day Of A Seven Day Binge sono marchette per i fan meno inclini al cambiamento, dove soprattutto la prima rappresenta la classica essenza Manson. E poi le tracce contenute nell’edizione deluxe dell’album, tre acoustic versions che riprendono le linee marcatamente blues che percorrono l’intero lavoro.

Anche dal punto di vista vocale si scorge davvero del buono: Manson conferma con nonchalance la varietà di utilizzi che fa dello strumento voce (costante anche nei capolavori della sua produzione), di non eccellere in alcuna “specialità” ma di saper creare comunque quella molteplicità di atmosfere che giovano sensibilmente all’articolazione dei brani. Mentre è in relazione alle lyrics che lo si coglie un po’ sottotono, rinchiuso in una certa ripetitività che non permette del tutto l’auspicato salto di qualità ad un album per il resto convincente.

Se la si smettesse una volta per tutte di parlare delle maschere, del trucco, delle frasi ad effetto e del resto delle baggianate montate ad arte dal management (e dallo stesso Warner, che stupido non è) e si ascoltasse con orecchio scevro da pregiudizi quest’album, la valutazione non potrebbe che essere positiva, ennesima e insperata dimostrazione di un’innata capacità per l’auto-riciclo e per le metamorfosi artistiche. Industrial, gothic, metal, alternative, glam e adesso persino blues, Marilyn Manson continua ad essere un genere a sé stante, ancora una volta.

(2015, Hell, Etc. / Cooking Vinyl)

01 Killing Strangers
02 Deep Six
03 Third Day Of A Seven Day Binge
04 The Mephistopheles Of Los Angeles
05 Warship My Wreck
06 Slave Only Dreams To Be King
07 The Devil Beneath My Feet
08 Birds Of Hell Awaiting
09 Cupid Carries A Gun
10 Odds Of Even
11 Day 3 (deluxe edition)
12 Fated, Fateful, Fatal (deluxe edition)
13 Fall Of The House Of Death (deluxe edition)

IN BREVE: 3,5/5

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