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Mark Ronson – Uptown Special

uptownspecialMark Ronson è uno di quegli artisti che polarizza le opinioni. Già a chiamarlo artista fai incazzare il clan dei duri e puri, quelli che ascoltano solo alternative jazz-post-hip hop cantato da cori gregoriani e suonato da tre chitarristi sordomuti che invece di una strato usano chitarre a 24 corde fatte non di metallo o nylon ma di peli del culo di alpaca. Tutto il resto, specialmente le reunion e ciò che vende, è il male assoluto, e quindi la cosa più intelligente da fare è andare su Facebook e Twitter, su ogni sito che recensisce queste bestie e fargliela vedere noi, fargliela.

I detrattori di Ronson ne parlano come di un modaiolo privo di contenuti, pronto a cavalcare l’onda delle blurred lines e del pop-funk alla moda del Timberlake dello scorso anno, un ciarliere che raccoglie ospiti tanto per far numero e rumore, un venduto che pensa solo alla classifica… la solita solfa. Seppur non ci troviamo di fronte al nuovo Quincy Jones né ad uno che fa musica sperimentale, rivoluzionaria o quant’altro, la verità è ben altra, Ronson è uno al quale piace fare musica: musica che venda, è chiaro, musica popolare, altrettanto chiaro. Ma musica, fatta bene, scritta con cura, pensata per divertire, senz’altro, ma prodotta per passione, prodotta CON passione.

E se il singolo, caciarone e banalotto, che sta spopolando in tutto il mondo (Uptown Funk, con ospite Bruno Mars, uno dei più grandi talenti sprecati della musica recente) potrebbe dare parzialmente ragione ai critici, il resto dell’album, per concezione e risultato finale, è invece molto valido. Innanzitutto alle spalle una band di gente che chiamare fuoriclasse è riduttivo: Steve “Getdwa” Jordan (Stevie Wonder, Keith Richards, The Blues Brothers), Carlos Alomar (Bowie), Teenie Hodges (chitarrista e co-autore per Al Green), Willie Weeks (con Wonder su Innervisions), parte dei Dap-Kings (già assoldati per quel capolavoro, prodotto da Ronson, che fu “Back To Black” di Amy Winehouse); questo sembra tutt’altro che un cast di gente ingaggiata per fare semplicemente soldi. Tutt’altro, Uptown Special sembra un’operazione volta a fare conoscere questi musicisti straordinari alle nuove generazioni. E poi i testi, nove su undici dei quali sono stati affidati non ad un paroliere professionista ma ad un premio Pulitzer, lo scrittore Mark Chabon, che fa un ottimo lavoro nello scrivere in maniera non banale ma nemmeno cervellotica.

Da un punto di vista musicale, sembra una playlist di un deejay più che un album, con salti dallo Stevie Wonder di “Innervision” (che compare con la sua armonica in due splendide tracce, l’apripista Uptown’s First Finale e la conclusiva Crack In The Pearl, Pt. II) al funk di stampo Godfather Of Soul, con un Mystikal in grandissima forma che, accompagnato ancora da Bruno Mars, spacca tutto in Feel Right, passando per un sofisticato pop influenzato dagli Steely Dan e un Michael Jackson anni ‘80.

L’impressionante lista di ospiti continua con il Tame Impala Kevin Parker, perfettamente a suo agio, con l’esordiente Keyone Starr, pescata in Mississippi in una folle ricerca di una “giovane Chaka Khan”, il produttore Jeff Bhasker (Kanye West e altra roba da milioni di dollari) e Andrew Wyatt dei Miike Snow. Come già detto, questa lista di interpreti così diversi fa sì che l’album sembri costruito con la funzione shuffle di un iPod, ma, per qualche arcana ragione funziona. Beh, non tanto per un’arcana ragione quanto per il lavoro di Ronson e Bhasker, che forniscono a questo caleidoscopio il tema unitario di un tributo ad un certo tipo di pop, vaghissimamente simile a quel successo planetario che fu il recente “Random Access Memories” (anche se probabilmente meno resistente alle insidie del tempo).

Haters gonna hate, si dice in America, e lasciamoli odiare. Nel frattempo chi ha orecchie per ascoltare si goda la leggerezza di “Uptown Special”, che forse non farà saltare dalla sedia per originalità ma è un lavoro valido, sentito, ben suonato, ben scritto e che regalerà al suo autore un’altra valanga di danari.

(2015, Columbia)

01 Uptown’s First Finale
02 Summer Breaking
03 Feel Right
04 Uptown Funk
05 I Can’t Lose
06 Daffodils
07 Crack In The Pearl
08 In Case Of Fire
09 Leaving Los Feliz
10 Heavy And Rolling
11 Crack In The Pearl, Pt. II

IN BREVE: 3,5/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.

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