
Esorcizzare la morte. Meglio ancora, esorcizzare il concetto stesso della morte, non tanto la nostra quanto quella ben più dolorosa di chi amiamo, di chi ci sta intorno, quel rimanere sospesi in attesa che la sensazione di vuoto passi, consapevoli che potrebbe non passare mai. Un limbo in cui Matt Jencik prova a barcamenarsi da sempre, in modi diversi, l’ultimo dei quali è arrivato adesso nella forma di un disco collaborativo che lo vede in coppia con Madeline Elizabeth Johnston, meglio conosciuta con il moniker Midwife. L’album si intitola significativamente Never Die ed è questo che fa, riflette sull’assenza, sul modo in cui la mancanza definitiva influenza le vite di chi resta a fare i conti con quella assenza.
E musicalmente l’album accompagna perfettamente la tematica che gli sottende, un’elettronica fluttuante e oltremodo cupa in cui le voci di Jencik e Midwife s’inseguono, s’incastrano, ma praticamente mai in primo piano, sempre filtrate da una marea di effetti stranianti che ne accentuano un’espressività notturna. Delete Key, che apre il disco, sembra per sua natura una intro ma in realtà è solo l’inizio di un percorso uniforme nel suo incedere, con pochi picchi strumentali (giusto la ritmica accennata che compare sul finale con September Goths e Rickety Ride) ma tantissime discese in un grigio slabbrato e intorpidito (vedi Bend che, posta a metà percorso, funge da punto più basso prima di una flebile risalita).
È una sorta di slowcore filtrato da un setaccio ambient quello costruito da Jencik e Midwife attorno alle proprie voci (meravigliosa Flower Dragon, se dovessimo cercare un solo passaggio rappresentativo del disco), un dream pop notturno e riflessivo che non ti concede un minuto di riposo, una narrazione dimessa che trova in egual misura condanna e sollievo nella costante pioggerellina sintetica che la inzuppa. L’ascolto è proprio per questo pesante, anzi sarebbe più opportuno definirlo appesantito, un continuo respiro corto in cui si fatica a trovare una qualche via d’uscita, ma fa tutto parte dell’effetto voluto dal duo, non nuovi a questo genere di elucubrazioni sul dolore e la perdita ma forse mai così estremi nel proporcele.
2025 | Relapse
IN BREVE: 3,5/5