[adinserter block="3"]
Home RECENSIONI Melvins – Pinkus Abortion Technician

Melvins – Pinkus Abortion Technician

Dopo la straordinaria esperienza di una formazione con due batteristi (forse la formazione migliore della lunghissima storia della band di Aberdeen) e il cast di sei diversi bassisti apparso su “Basses Loaded” del 2016, era questione di tempo prima che le carte venissero mischiate in questo senso, cioè una formazione con due bassisti contemporaneamente: l’ormai membro ufficiale Steven McDonald e il Butthole Surfer Jeff Pinkus, già con i Melvins nell’album del 2014 “Hold It In”.

E i Butthole Surfers sono un tema ricorrente in quest’album: il titolo Pinkus Abortion Technician è un tributo al capolavoro della band di Gibby Haynes (“Locust Abortion Technician” del 1987) e compaiono ben due cover dei Surfers, la prima in un assurdo medley con Stop (già nota nelle versioni della James Gang, di Hendrix con la Band Of Gypsys e del trio Stills, Kooper e Bloomfield), la fan favourite Moving To Florida, la seconda tratta proprio dall’album tributato nel titolo, e cioè Graveyard, che chiude l’album. Comprensibile poi il titolo, al di là del tributo, guardando gli autori delle tracce: Pinkus ne scrive quattro (di cui una con Dale Crover) e con le già citate due cover dei Surfers si arriva a sei su nove pezzi.

Nel tradizionale gioco delle tre carte operato da Crover e Buzzo, la novità non è solo il doppio bassista ma anche una presenza molto “light” di quest’ultimo, che non scrive nessuno dei nove pezzi e ha un ruolo ridotto nelle parti cantate. Come è prevedibile, i due bassisti fanno risaltare il groove ed il suono assume un tipo di heavyness (da heavy metal, perdonateci l’osceno inglesismo) diversa, come ad esempio in Don’t Forget To Breathe, lenta e pesante come i Melvins d’altri tempi, ma meno tagliente e più soffocante, heavyness che a volte scompare per lasciare posto ad un’inconsueta psichedelia come in Flamboyant Duck, che vede Pinkus al banjo, anche se l’inconsuetudine, parlando di Melvins, è consueta.

A parte il passo falso che arriva con la cover di I Want To Hold Your Hand, (qui presentata in un arrangiamento per primo presentato da Billy Gibbons degli ZZ Top con la sua sconosciuta band degli anni ’60, i Moving Sidewalks) che manca del colore e della follia necessaria per gestire l’arrangiamento – cosa alquanto insolita per i Melvins – l’album è una solidissima collezione che entra più che degnamente nel caleidoscopico canone melvinsiano degli ultimi anni, che non smettono di sorprendere nonostante i trentacinque anni di carriera.

(2018, Ipecac)

01 Stop Moving To Florida
02 Embrace The Rub
03 Don’t Forget To Breathe
04 Flamboyant Duck
05 Break Bread
06 I Want To Hold Your Hand
07 Prenup Butter
08 Graveyard

IN BREVE: 3,5/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.

Nessun commento

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Exit mobile version