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Michael Kiwanuka – Love & Hate

loveandhateNel 2012 l’esordio di Michael Kiwanuka, “Home Again”, presentava un artista indubbiamente dotato che pescava a piene mani in quei territori di confine fra musica nera e bianca, a cavallo tra soul, blues e folk. Classico, molto classico, tanto che si rischiò di bruciarlo anzitempo sprecando paragoni illustri (su tutti Bill Withers, ripetutamente tirato in ballo).

Dopo quattro anni il non ancora trentenne Kiwanuka torna a farsi sentire con questo Love & Hate, sophomore che mette le cose in chiaro sulle reali ambizioni dell’inglese di origini ugandesi: Kiwanuka non ha affatto voglia di fermarsi a rifare ciò che è già stato fatto anche meglio, piuttosto cerca di aprire continuamente spiragli che possano allargare il suo spettro musicale. Così non stupisce che già all’inizio ci sia una traccia lunga 10 minuti, Cold Little Heart, che per l’intera prima metà è strumentale, un impianto orchestrale con archi, voci femminili in coro e una chitarra liquida che se non è un tributo ai Pink Floyd poco ci manca. Poi il pezzo si apre, o meglio cambia del tutto registro: entra la voce di Kiwanuka ed è subito un pulitissimo soul vecchio stampo.

L’impalcatura dell’album, intelligentemente datata, crea la continuità tanto con l’esordio quanto con i punti di riferimento artistici di Kiwanuka, ma anche nel gospel di Black Man In A White World, in Place I Belong, One More Night (col suo refrain imbattibile) o Rule The World spuntano sempre fuori elementi che ne attualizzano il sound. A questo punto non è più un caso che alla voce “produzione” compaia il nome di Danger Mouse, uno che quando c’è da mettere insieme presente e passato sa egregiamente fare il suo lavoro.

La title track ha un piglio radio friendly che la dice lunga sull’occhio clinico di Kiwanuka nell’analizzare l’attuale panorama musicale, in cui funzionano sempre più le mistioni fra radici della black music e mainstream. Ma l’obiettivo è centrato con oculatezza, i brani sono sì più pieni e pulsanti rispetto all’esordio, ma mai in modo eccessivo o ridondante. Le lyrics sono anch’esse basate sull’immediatezza, un songwriting diretto anche quando si tratta di parlare di sensazioni e pensieri personali (è il caso di Falling o I’ll Never Alone).

Nonostante qualche divagazione di troppo (vedi la chitarra sixties che attraversa le conclusive Father’s Child e The Final Frame), che comunque fa il gioco di Kiwanuka nella costante ricerca di input esterni operata in “Love & Hate”, l’album non pecca mai di uniformità, tendendo tanto alla Motown quanto alle nuove tendenze revivalistiche della black music. Lavoro riuscitissimo.

(2016, Polydor / Interscope)

01 Cold Little Heart
02 Black Man In A White World
03 Falling
04 Place I Belong
05 Love & Hate
06 One More Night
07 I’ll Never Love
08 Rule The World
09 Father’s Child
10 The Final Frame

IN BREVE: 4/5

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