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Mogwai – Rave Tapes

ravetapesCasa, amici, lo stadio. E il solito junk food. La vita dei Mogwai è un po’ come la nostra, beh non esattamente come la nostra, ma non pensate poi così diversa. Voglio dire… anche se ormai con le tasche imbottite di soldi, mica vedrete mai Stuart Braithwaite andare in giro in pelliccia con un’auto sportiva da cinquantamila sterline o magari Barry Burns gongolarsela a mollo di una piscina grande come l’area di un campo da calcio. No. Robe del genere sono lontane anni luce dal loro modo d’essere. Un po’ come per i Mt. Zion (che proprio in queste settimane pubblicano il nuovo album). Entrambi figli della “provincia dell’impero”, distanti dai centri dorati. Scozzesi e canadesi, senza mai cedere più di tanto al fascino della megalopoli. Distaccati, fieri.

Rave Tapes, l’ottavo disco dei Mogwai, è così un lavoro casalingo: c’è lo studio di registrazione più amato (il Castle Of Doom), c’è il vecchio amico Paul Savage ai fornelli e c’è un senso del suono legatissimo all’identità-Mogwai. Insomma: languori densissimi, temporali emotivi, momenti epici, altri più minimali, lo sconforto lasciato alla musica, mai alle parole (salvo lo speaking radiofonico in Repelish, il vocoder di The Lord Is Out Of Control e i sussurri di Blues Hour di cui si parlerà più in là). E poi c’è il senso divertito del non senso, come spesso è accaduto nelle tracklist dei Nostri.

E basta un solo ascolto per dire che i Mogwai con “Rave Tapes” centrano il bersaglio. Come? Beh, non cercando più il suono superstar da far deflagrare dal vivo, ma inseguendo, invece, il punto più alto in cui s’incontrano umori e ricerca musicale. Là, dove Heard About You Last Night si distende e poi si ritrae leggera come una vestaglia appesa al vento o dove Remurdered è un thrilling tensivo e crespo di ritmo ed elettroniche mai eccessive. Al Castle Of Doom, appena entri sulla destra, c’è un enorme specchio dalla cornice finta oro, lì i Mogwai specchiano la loro immagine in pezzi come Hexon Bogon o No Medicine For Regret e riflettono lo sconforto di un disco scuro, scurissimo, quasi da sad songs for sad people. E’ qui che “Blues Hour” si va a sublimare.

Il testo recita: «Lasceremo il mondo esattamente come l’abbiamo trovato / Le linee dei treni non portano da nessuna parte, verso una destinazione introvabile». Con un pianoforte struggente, ma con un canto a coro che ci ricorda che solo uniti si può venirne fuori, “Blues Hour” è il definitivo requiem dei Mogwai, il brano che tutti aspettavamo, che avevamo sulla punta della lingua per descrivere un momento storico come questo. E in fin dei conti è quello che ci aspettiamo da loro e che gli abbiamo sempre chiesto: suggerirci il colore del nostro sconforto. E anche questa volta.

Curiosità: in “Repelish” si sente la voce di un deciso speaker di un’emittente cattolica americana sottolineare come “Stairway To Heaven” dei Led Zeppelin sia una canzone “palesemente” satanica.

(2014, Sub Pop / Rock Action)

01 Heard About You Last Night
02 Simon Ferocious
03 Remurdered
04 Hexon Bogon
05 Repelish
06 Master Card
07 Deesh
08 Blues Hour
09 No Medicine For Regret
10 The Lord Is Out Of Control

IN BREVE: 3/5

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