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Neurosis – Honor Found In Decay

Era il 2007 e il post-hardcore era all’apice del suo splendore. I discepoli del Verbo Neurosis stavano man mano elevando a sopraffina arte un gergo sonoro in bilico tra esalazioni industriali ed elegante escapismo post-rock, rigurgitato dalle mutazioni genetiche susseguitesi nell’hardcore. Alcuni adepti avevano trovato già i perfetti equilibri (gli Isis di “Panopticon”, 2004), altri ricercavano pulsazioni nella psichedelia pinkfloydiana (i Cult Of Luna di “Salvation”, ancora 2004), altri ancora bruciavano incensi e infiammavano gli spiriti (i Minsk di “The Ritual Fires Of Abandonment”). Era il 2007 e i Neurosis rimettevano la testa fuori dalla tana digrignando i denti con “Given To The Rising”, dimostrando che 23 anni di carriera possono non pesare. Anzi, fortificano ogni certezza. I cinque anni di silenzio intercorsi da quell’ultimo disperato urlo e Honor Found In Decay hanno stimolato le fantasie dei fan devoti, che più e più volte hanno ipotizzato quali forme avrebbero assunto le nuove declamazioni sonore della band di Oakland. La via percorsa è stata la più facile da supporre: nessuna rivoluzione in casa Neurosis. Solo ulteriori espansioni cromatiche, grazie al sempre più presente Noah Landis, già strepitoso protagonista in “The Eye Of Every Storm”. Il suo contributo ridona corpo alle radure desolanti del meraviglioso lavoro del 2004, riesuma quel dolore che cavalca taciturno il vento, decomprime l’opprimente e inevitabile peso delle chitarre. “Honor Found In Decay” è il consueto teatro di luci e ombre, di profondi abissi e repentine ascensioni, ipnosi dilatate e brutali esplosioni. Il tragico incipit di Bleeding The Pigs scava fin dentro le ossa scorticando il midollo con tribalismi che vengono da lontano, da quel “Through Silver In Blood” che sublimò la poetica neurosisiana del primo decennio di vita. Scott Kelly e Steve Von Till continuano ad alternarsi al microfono con la medesima ferocia primordiale che ne contraddistingue gli istinti vocali. Il primo è toccante nel barocco prologo di Casting Of The Ages, il secondo si esprime in tutta la sua selvaggia forza nel blacksabbathiano incedere di All Is Found… In Time, governandosi poi nel bel bridge melodico. Il meglio però passa per le trame aliene di At The Well, da pelle d’oca quando s’incendia e sputa fuori la bile; passa per il malessere galoppante di We All Rage In Gold; passa per gli spegnimenti alla Sigur Ros di My Heart For Deliverance prima che si riaccendano in un’ostinata marcia folk-doom. Sette brani sofferti e autenticamente vissuti da un gruppo che non s’è mai lasciato sedurre dal “mestiere”, che imprime in suoni ogni minima e impercettibile vibrazione dell’anima con una potenza comunicativa disarmante. Non serve star lì a menarla sull’alta qualità della scrittura nonostante i quasi 30 anni di attività, non è questo il punto. E’ che i Neurosis sono una delle band più grandi della Storia della Musica Rock e il fatto che non venga riconosciuto a furor di popolo è solo una faccenda idiota di stadi non riempiti e di milioni di dischi non venduti. D’altronde le masse si arrenderebbero di fronte al frastuono, non ne scaverebbero l’immenso dolore, non ne realizzerebbero l’umana e toccante universalità.

(2012, Neurot)

01 We All Rage In Gold
02 At The Well
03 My Heart For Deliverance
04 Bleeding The Pigs
05 Casting Of The Ages
06 All Is Found… In Time
07 Raise The Dawn

A cura di Marco Giarratana

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