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Offlaga Disco Pax – Gioco di società

Anno Domini 2005: gli Offlaga Disco Pax, da Reggio Emilia con furore (come si suole scrivere in certi casi), fanno capolino sulla scena alternative e non, lanciati dal passaparola in rete e dall’irrefrenabile ondata di entusiasmo che ha travolto chi, senza indugio alcuno, ha aderito al loro manifesto ideologico, seppur in formato ridotto. E’ un momento cruciale per la musica, quello: non si dice più “ascoltare”, ma “scaricare”, i negozi di dischi sono diventati una rarità e l’artwork un qualcosa di cui si può anche fare a meno. Eppure i nostri, con il loro “Socialismo tascabile (Prove tecniche di trasmissione)”, riscoprono un immaginario collettivo ormai quasi del tutto andato perduto, tirando fuori dal baule dei ricordi storie e personaggi: dalla parabola del clerck di “Tono metallico standard” al miracolo metafisico di “Piccola Pietroburgo”, tanto per citare qualche esempio. Da qui il pienone da Trieste in giù e performance da brividi, con tanto di tatranky in omaggio. Poi è stata la volta di “Bachelite” (2008), altro disco acclamato da pubblico e critica, fotografia nitida di una band che giunge alla dogana delle aspettative, con un pizzico di esperienza in più da dichiarare e pagine di autentica poesia nascoste tra i bagagli. Ed infine ecco, quattro anni più tardi e anticipato dal singolo Parlo da solo, l’attesissimo Gioco di società. Un titolo assai curioso quello scelto da trio Collini-Carretti-Fontanelli, che apre al pubblico una via d’accesso laterale ad un contesto squisitamente personale, privato. Attraverso nove tracce (numero che ha caratterizzato anche la composizione dei due precedenti lavori) suddivise su due lati come nei 33 giri, Collini racconta di sé, delle cinque ore scolastiche (Respinti all’uscio), del periodo di formazione politica (Palazzo Masdoni), delle domeniche in curva (Piccola storia Ultras) e persino di alcuni aneddoti professionali (A pagare e morire). E’ un descrivere la provincia per descrivere l’Italia, vista dalla panchina di una piazza. Tutto ad un tratto, sulle note di Sequoia, si ha addirittura come l’impressione di trovarsi nel bel mezzo del capolavoro bertolucciano “Novecento”, al confine tra un “prima” e “dopo” che non lascia margini di speranza. Che fine hanno fatto, viene da chiedersi, i protagonisti delle vicende cantate da Collini? La possibilità di trovarseli ai piedi di un tavolo, intenti a contendersi l’ultima pedina di un gioco da tavola impolverato, interrotti solo dalle folate elettroniche di Carretti e Fontanelli, non è poi così peregrina. C’è ancora qualcosa di sinistra da dire e, fortunatamente, anche da ascoltare.

(2012, Venus)

01 Introduzione
02 Palazzo Masdoni
03 Parlo da solo
04 Respinti all’uscio
05 Piccola storia Ultras
06 Sequoia
07 Tulipani
08 Desistenza
09 A pagare e morire

A cura di Vittorio Bertone

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