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Oranssi Pazuzu – Mestarin Kynsi

Il black metal è sempre stata la corrente più inquieta di tutto il mondo metallico. Esulando dalla narrazione sui comportamenti di alcuni rappresentanti nella Norvegia dei primi anni ’90, già dagli albori si poteva rinvenire la tendenza a evolvere con estrema facilità, forse ancora prima di svilupparsi come genere a sé stante. In che modo non citare i Bathory di Quorthon e i loro suoni di ispirazione vichinga, per non parlare di sua maestà Garm e delle sue creature Arcturus e Ulver con i secondi che tuttora rifuggono da qualsiasi classificazione spaziando in territori che trascendono dal concetto di categorizzazione.

Gli Oranssi Pazuzu sono forse la band che in tempi recenti rappresenta al meglio il concetto di progresso in campo black e lo han fatto con un percorso che mostra, a ogni passaggio, come la necessità sovvertire le convenzioni sia una vocazione da coltivare con pazienza. Mestarin Kynsi esce a quattro anni dal precedente delirio “Värähtelijä”, album già di per sé estremo nella sua capacità di rompere gli schemi e ricco di tutti quegli elementi caratteristici di una band in piena transizione verso ideali ancora più ambiziosi. Non vi è alcuno stravolgimento nel sound dei cinque di Tampere; il passaggio a una major competente come Nuclear Blast ha infatti lasciato piena libertà di espressione e gli Oranssi Pazuzu ringraziano con un lavoro che si spinge ben oltre quanto potesse anche solo essere concepito qualche anno addietro.

Non una rivoluzione dunque ma il preciso affinamento di un sound che abbandona quasi del tutto la sua componente arcaica, relegata in gran parte nella conclusiva Taivaan Portti, per ampliare lo spettro di influenze psichedeliche spaziando dal kraut allo space rock anni ’70. L’opener Ilmestys è buon incipit di un album che ha un compito chiaro e preciso: evocare le sensazioni ambigue e oscure di un genere che si sta forse cercando di rinnegare senza il supporto degli elementi cardine di un suono tanto peculiare. Sfida ambiziosa, decisamente superata, a dimostrazione che il black metal è prima di tutto atmosfera, percezione, concetto.

Il disco procede su un piano ormai più che personale. Preda di un’esaltazione che cresce traccia dopo traccia tra ritmi circolari e claustrofobici, talvolta con il supporto di elementi elettronici e in altre occasioni con le chitarre a disegnare dissonanti tappeti sonori, si propone la canzone principe di questo lavoro ambizioso e maturo: Uusi Teknokratia, che non a caso significa “nuova tecnocrazia”. La traccia si erge a evidente manifesto di un suono che molto probabilmente sarà il futuro di questo quintetto, ed è estremamente eccitante: 10 minuti di una forma che muta in continuo senza però slegarsi, un percorso onirico che va al di là del concetto di avanguardia e stimola esperienze extra sensoriali in quello che è un tripudio di elettronica, flauti e voci che comunque non respingono la propria essenza metallica. Certamente una dei migliori pezzi estremi dell’anno. Il resto del platter prosegue tra alti (Kuulen Ääniä Maan Alta) non così elevati e bassi (Oikeamielisten Sali) non così mediocri ma senza reggere il confronto con quanto prima descritto.

In definitiva, ancora una volta gli Oranssi Pazuzu regalano un’esperienza che vale la pena affrontare anche soltanto per comprendere verso quali territori certa musica possa spingersi. A ogni uscita, il combo finlandese sposta l’asticella un pochino più in alto, non per forza attuando cambiamenti sconvolgenti ma aggiungendo qualche nuovo ingrediente a un calderone già di per sé fenomenale. Di certo, un viaggio necessario per tutti coloro che professano la sperimentazione come valore fondamentale.

(2020, Nuclear Blast)

01 Ilmestys
02 Tyhjyyden Sakramentti
03 Uusi Teknokratia
04 Oikeamielisten Sali
05 Kuulen Ääniä Maan Alta
06 Taivaan Portti

IN BREVE: 3,5/5

Da sempre convinto che sia il metallo fuso a scorrere nelle sue vene, vive la sua esistenza tra ufficio, videogames, motociclette e occhiali da sole. Piemontese convinto, ama la sua barba più di se stesso. Motto: la vita è troppo breve per ascoltare brutta musica.

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