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Pram – Across The Meridian

Questo ritorno dei Pram è forse il momento più interessante per le pubblicazioni discografiche di quest’ultimo periodo. Per lo più considerati all’interno di quel grosso indefinito calderone che fu definito come post rock, la verità è che il combo proveniente da Leeds non aveva e non ha tuttora in nessun modo caratteristiche che lo accomunano a correnti musicali più o meno definite che abbiano segnato il ventennio precedente, in particolare per quello che riguarda il Regno Unito, che più che altri Paesi è in generale legato a forme di musica pop rock più predefinite. Influenti per ciò che riguarda formazioni musicali come Stereolab o Broadcast, le radici del sound dei Pram vanno ricercate nella musica progressive degli anni Settanta e nell’incontro tra questa tradizione tipicamente Canterbury e il sound jazz di classici come Miles Davis, fino ad andare indietro nel tempo agli anni Trenta e a forme che hanno sublimato queste due esperienze, gruppi come i Residents oppure i Tuxedomoon. Senza considerare la grande influenza della wave giapponese e quella cultura cinematica che qui non è tanto un’estetica o un semplice omaggio, ma un vero e proprio tema centrale, un mondo ideale attorno al quale ruotano tutte le costruzioni sonore del gruppo.

Across The Meridian è un ritorno inatteso che farà felici i vecchi appassionati del gruppo, così come potrebbe sorprendere quelli che dopo avere conosciuto questa band, non potranno che restare entusiasti dalla ricchezza e dalla varietà dei suoni, di questo sperimentalismo che non è mai sopra le righe e non rinnega mai quella facilità e piacevolezza nell’ascolto che si esplica in una dimensione surreale e senza tempo, come possono essere senza tempo realtà come quella del circo oppure la magia stessa del cinema, in una moltitudine di visioni tra il reale e il fantastico che si ripetono senza interruzione.

Definitivamente avvicinabili come genere a quella che si può definire come la branca più intellettuale della wave e allo stesso tempo affetti da tropicalismo, sonorità beat e dimensioni lounge, le tracce che compongono il disco richiamano di volta in volta moduli del suono Yellow Magic Orchestra (Shimmer And Disappear) e Kraftwerk (Wave Of Translation), forme di jazz cosmico metropolitano attraverso il filtro di una vecchia polaroid (Thistledown, Ladder To The Moon, Footprints Towards Zero), art pop, espressionismo, colonne sonore e composizioni minimaliste che riprendono la vasta produzione di Ryuichi Sakamoto.

Per lo più strumentale (eccetto la già menzionata Thistledown e Mayfly) il disco è stato registrato tra i Foel Studios, in Galles, e lo studio del gruppo a Birmingham. La volontà espressa è stata quella di rimettersi in gioco e allo stesso tempo continuare a sperimentare con l’utilizzo di nuova strumentazione e tecnologie, ma non per questo viene qui tradita quella matrice “classica” che costituisce il punto di forza dei Pram, che qui segnano un’altra pagina importante nella storia della musica d’avanguardia del Regno Unito e di tutto il continente: un disco fondamentale.

(2018, Domino)

01 Shimmer And Disappear
02 Thistledown
03 Electra
04 Wave Of Translation
05 Shadow In Twilight
06 Ladder To The Moon
07 The Midnight Room
08  Footprints Towards Zero
09 Mayfly
10 Sailing Stones
11 Where The Sea Stops Moving
12 Doll’s Eyes

IN BREVE: 4,5/5

Sono nato nel 1984. Internazionalista, socialista, democratico, sostenitore dei diritti civili. Ho una particolare devozione per Anton Newcombe e i Brian Jonestown Massacre. Scrivo, ho un mio progetto musicale e prima o poi finirò qualche cosa da lasciare ai posteri. Amo la fantascienza e la storia dell'evoluzione del genere umano. Tifo Inter.

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