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Sam Fender – Seventeen Going Under

Classe 1994, figlio d’arte e della classe operaia di North Shields, il giovane Sam Fender aveva già attirato ampiamente l’attenzione con il suo ottimo debut “Hypersonic Missiles” (2019) non solo in madrepatria, ottenendo un disco d’oro, riconoscimenti e buone posizioni nelle classifiche, ma anche oltreoceano. Il successo americano non è certamente casuale: Fender non strimpella né fa del semplice e ritrito indie rock adolescenziale, ma si spinge verso derive heartland con innumerevoli richiami a Bruce Springsteen, alternando tracce acustiche e minimali ad anthem dinamici mai troppo scontati o “ruffiani”.

In esse non passano inosservate la presenza di chitarre valide e un sassofono ricorrente, oltre ad una ricerca del sound talvolta in direzione soul e punk, e la buona capacità di osservazione dell’artista, che insieme ad uno stile interessante nella stesura delle liriche, gli permettono di affrontare in maniera efficace temi sociali tutt’altro che leggeri. L’impronta del Boss in Seventeen Going Under è visibile fin dall’artwork del disco, ispirato alla pietra miliare “Nebraska” (1982), dominato da un bold lettering rosso carminio e una foto in bianco e nero che ritrae il quartiere della cittadina nel nord est dell’Inghilterra nel quale il cantautore è cresciuto.

Decisamente più personale e intimo del suo predecessore, l’album illustra la crescita di Sam a partire dai suoi diciassette anni, tra momenti leggeri e altri più difficili e dolorosi, utilizzando la propria esperienza per parlare del contesto sociale che riguardava non solo la sua famiglia, ma molti degli appartenenti alla working class locale. Un altro degli artisti preferiti di Fender di cui si può riscontrare un’influenza, seppur velata, è Jeff Buckley: secondo quanto dichiarato, “Grace” (1994) fu uno dei dischi che lo colpì maggiormente durante la sua adolescenza, sia per la potenza della band con cui suonava Buckley, sia per la sensibilità disarmante che contraddistingueva quest’ultimo nel raccontare una storia.

Il percorso prende il via da Seventeen Going Under, title track divisa tra la leggerezza delle chitarre acustiche, l’incedere spedito della batteria e il sax di Johnny Davis nel ritornello, e manifesto dell’intero disco che snocciola alcuni degli avvenimenti chiave della vita dell’artista, in particolare i sentimenti provati nei confronti della madre inabile al lavoro e vista dallo Stato soltanto come un numero. Tale tema viene ripreso anche dalla successiva Getting Started, dove il cantautore esprime la sua frustrazione per non poter vivere spensierato la propria gioventù e soprattutto il pensiero di dover ricorrere a mezzi illeciti per riuscire a ricavare qualche soldo e provvedere a lui e sua madre.

Tra le tracce più efficaci vi è la dinamica Aye, forte protesta che sfiora il territorio punk ponendo sotto i riflettori il vuoto politico intorno alla classe operaia, abbandonata e non rappresentata sia dagli schieramenti di destra sia da quelli di sinistra, per poi tornare in territorio springsteeniano con l’anthem personale Get You Down, dove il cantante manifesta tutte le grandi insicurezze che hanno caratterizzato le sue relazioni, distruggendole inesorabilmente. I rintocchi secchi delle percussioni e la bassline di Long Way Off sono alleggeriti da una sezione di archi e dall’uso del synth, e fanno da sfondo ad un nuovo duro sfogo contro le posizioni politiche polarizzate e la Brexit.

Uno dei brani maggiormente personali è Spit Of You, il quale tratta il difficile rapporto tra Sam e il padre, e dove a farla da padroni, oltre al sassofono, sono un mandolino e alcuni fiati. La lenta e triste Last To Make It Home, il cui finale è dominato da delle dilatate distorsioni di chitarra,è stata definita da Fender come un anthem per perdenti, mentre la trionfale e combattiva The Leveller risolleva i toni e parla della guerra personale del cantautore contro la depressione. Le ottime sezioni strumentali di Mantra accompagnano il consiglio di non cercare conforto e approvazione da persone narcisiste e lavorare di più sulla propria autostima.

A concludere il viaggio sono i ritmi e il piano di Paradigms e di The Dying Light, sequel di “Dead Boys”, brano riguardante il suicidio. La versione deluxe è arricchita da cinque bonus track, tra cui Angel In Lothian, caratterizzata da un passaggio di armonica, e l’interessante Better Of Me. Maturo, notevolmente complesso e soprattutto temerario, sia per le scelte compiute in materia di sonorità sia dal punto di vista testuale, “Seventeen Going Under” si focalizza principalmente sul lato poetico e la capacità di storytelling di Sam Fender, già adeguatamente anticipati in “Hypersonic Missiles”, riservandogli nuovamente di diritto uno dei posti da principale protagonista dell’attuale scena alt rock inglese.

(2021, Polydor)

01 Seventeen Going Under
02 Getting Started
03 Aye
04 Get You Down
05 Long Way Off
06 Spit Of You
07 Last To Make It Home
08 The Leveller
09 Mantra
10 Paradigms
11 The Dying Light

– Deluxe –
12 Better Of Me
13 Pretending That You’re Dead
14 Angel In Lothian
15 Good Company
16 Poltergeists

IN BREVE: 4/5

Studentessa di ingegneria informatica, musicofila, appassionata di arte, letteratura, fotografia e tante altre (davvero troppe) cose. Parla di musica su Il Cibicida e con chiunque incontri sulla sua strada o su un regionale (più o meno) veloce.

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