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The Microphones – Microphones In 2020

Probabilmente, volgendo il pensiero verso le opere pubblicate da Phil Elvrum dal 2017 ad ora, parleremo in futuro di una ben definita tetralogia che non ha ancora un nome. Potrebbe, sempre probabilmente, dirsi una “tetralogia del lutto”, oppure “tetralogia della ricostruzione”. Quale che sia il sostantivo più corretto, resta il percorso che dalla perdita della persona amata conduce a una lenta riappropriazione di se stessi: che dall’urto immenso, dalla labirintite dell’io porta al difficile bilanciamento del presente. Non è semplice ricordare un autore contemporaneo che si sia talmente immerso, per riemergere in musica nel corso di quattro annate, in una fonte tanto oscura in modo tanto diretto e alle volte, quasi, indifesamente scanzonato. 

Fatta eccezione per il capitolo “Lost Wisdom Pt. 2”, privatamente coinciso con il secondo matrimonio del songwriter statunitense con l’attrice Michelle Williams, la produzione sopracitata vanta picchi incontestabili, simbolicamente incorniciati dai due album che aprono e chiudono (chissà poi s’è chiuso) questo ciclo, finora: “A Crow Looked At Me” e quest’ultimo, bellissimo Microphones In 2020. Perché l’artista abbia voluto recuperare un moniker sepolto nell’ormai lontano 2003 è esplicitato nel testo dell’unico brano-fiume che compone il disco. Un senso di perenne continuità, di un unico fluire tra ieri e oggi che porta insieme una gravosa percezione d’ineluttabilità e una paterna, a tratti amorevole occhiata alla strada che ha condotto sin qui. 

Gli accordi si ripetono perpetui, scarni. Finché non subentra il canto. Finché non subentra la chitarra elettrica. Finché non subentra la batteria. E poi ancora indietro, avanti, indietro. La traccia segue, insomma, il valore delle parole: vi aderisce. Al suo interno c’è un patrimonio lo-fi (Daniel Johnston), ma specialmente slowcore con forte ascendente delle confessioni à la Mark Kozelek (ultimo Sun Kil Moon). L’esperienza uditiva è sospinta da un mediometraggio, facilmente reperibile su YouTube. Si consiglia la riproduzione congiunta.

Mentre in video passa una sequela di fotografie, accatastate una ad una e poi messe vie tutte insieme (anche questa scelta non casuale), la voce recita versi dolenti e diretti: “La condizione reale delle cose / Io continuo a non morire, il sole continua a sorgere”. “Quando sei più giovane, ogni cosa vibra con significato”: immagini e considerazioni sull’adolescenza, sui vent’anni, sui primi tour, i primi amori e poi il consolidamento di quei primordi in fatti, in routine, in carriera ed esistenza. Elvrum fa il narratore onnisciente, che tutto conosce dell’es che fu, che è, che sarà. Lo fa con grazia, con delicatezza ma con una dose mai paga d’intransigenza, senza alcuna banale idealizzazione. 

Il risultato è una canzone che, come lui stesso auspica e risolve nel finale, sembra continua, definitiva, ciclica come lo è il ciclo della vita. Non può che chiuderla la sua penna e non quella del recensore: “Comunque, ogni pezzo che abbia mai cantato parla della stessa cosa / Stare in piedi e guardarsi intorno, fondamentalmente / E se devono per forza esserci delle parole, allora potrebbero essere semplicemente: / Solo adesso / e / Non c’è fine”.

(2020, P.W. Elverum / Sun)

01 Microphones In 2020

IN BREVE: 4/5

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