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The Reds, Pinks And Purples – Summer At Land’s End

Ci sono dischi che nascono con l’unica pretesa di fornire un po’ di calore. Una comfort zone in cui il manierismo è un’occasione di protezione, un rifugio, senza pretese di stupore. Se poi l’uscita coincide con una stagione fredda, viene da sé pensare come questi effetti vengano amplificati. Il progetto The Reds, Pinks And Purples rappresenta perfettamente questo scenario. Glenn Donaldson lo sa, sa che parlando della quotidianità di San Francisco, utilizzando anche un po’ di mestiere, può ipnotizzare un pubblico bisognoso di riconoscersi in qualcosa.

Melodie agrodolci generate da chitarre limpide e synth balsamici sono la cifra dell’ultima creatura di Donaldson, già a quota quattro dischi in studio con quest’ultimo Summer At Land’s End. L’abito di questi brani, sebbene abbia una matrice psych-folk comune con le band in cui milita o ha militato Donaldson (Skygreen Leopards, Painted Shrins), è più astratto dal punto di vista dei suoni, meno monocorde rispetto al modo di raccontare scenari e sensazioni dell’american-folk. Come per i precedenti lavori, anche qui il cantautore statunitense ha ben chiare quali siano le influenze: le armonie pop rimandano alle versioni più liquide dei Belle And Sebastian e dei Shins, ma c’è spazio anche per una sostanziosa quota jangle à la Real Estate, nonché per i ricami vocali molto vicini alle atmosfere gaze del Neil Halstead solista. Questo significa che i suoni hanno la loro estetica preconfezionata e rispetto al recente passato non si percepiscono cambi di passo radicali.

I trentasei minuti del disco scorrono inesorabili pur con più di qualche momento di stanca. Nonostante l’invito del titolo, Don’t Come Home Too Soon è l’incipit perfetto per chi si sente a casa propria nel far riverberare echi dolciastri di chitarra. Le percussioni che accompagnano le melodie cristalline di New Light donano maggiore profondità ai suoni, mentre le fragilità cantate in My Soul Unburdened si trincerano dietro un’architrave melodica più acustica e meno liquida. La title track, invece, è un lungo pezzo strumentale in cui si stratificano chitarre ed effetti che tanto ricordano le code sognanti degli Slowdive. Stessa cosa, sebbene in minutaggio più ridotto, accade in Dahlias And Rain. La seconda parte del disco non offre grandi variazioni sul tema. Pour The Light In, All Night We Move e Tell Me What’s Real sono costruite in maniera simile: languidi leitmotiv sovrapponibili che ribadiscono intenzioni melodiche già note.

“Summer At Land’s End” è un disco di maniera che ha i tratti accennati di un dipinto sfocato, in cui si riescono ad individuare i soliti e noti colori caldi che lasciano la sostanza immutata. È una formula consolidata a cui Glenn Donaldson, per ora, non intende rinunciare. Un porto sicuro per anime titubanti.

(2022, Tough Love)

01 Don’t Come Home Too Soon
02 Let’s Pretend We’re Not In Love
03 New Light
04 My Soul Unburdened
05 Summer At Land’s End
06 Pour The Light In
07 All Night We Move
08 Tell Me What’s Real
09 Upside Down In An Empty Room
10 Dahlias And Rain
11 I’d Rather Not Go Your Way

IN BREVE: 3/5

Nasco a S. Giorgio a Cremano (sì, come Troisi) nel 1989. Cresco e vivo da sempre a Napoli, nel suo centro storico denso di Storia e di storie. Prestato alla legge per professione, dedicato al calcio e alla musica per passione e ossessione.

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