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Ty Segall – Hello, Hi

Che Ty Segall sia estremamente prolifico è ormai quasi un cliché, tale che si fatica a contare le uscite, perché basta distrarsi un attimo che l’artista californiano piazza un’altra uscita, come accaduto quest’anno con la colonna sonora del documentario “Whirlybird”. Fortunatamente, la moltitudine di uscite non significa monotonia, dato che Segall cerca sempre e comunque di portare idee (e formazioni, e arrangiamenti) differenti per ognuna delle uscite, rendendole – pur nella loro impressionante mole quantitativa – comunque attraenti.

Questo Hello, Hi fa parte di una categoria di album ormai tristemente classici, nonostante sia di nascita estremamente recente: gli album del lockdown. Difatti, Segall non ha potuto fare a meno di registrare l’album nei suoi studi casalinghi, gli Harmonizer Studios, con scarsissimo aiuto dai suoi consueti collaboratori, tirando fuori un album quasi interamente acustico, come accaduto nell’ormai lontano 2013 per “Sleeper”; quest’ultimo, tuttavia, viveva di vibrazioni lennonian-newyorkesi (frutto anche dell’allora recente scomparsa della madre), mentre in “Hello, Hi” le vibrazioni sono decisamente più solari e losangeline, con una spolverata di influenza dei Tyrannosaurus Rex (il nome che la band di Marc Bolan usava quando si occupava di folk psichedelico anziché di glam rock).

Ed è questo probabilmente che piace ai fan di Segall: un confortante movimento all’interno di quello che è un genere semi-morente, giornalmente agonizzante, fatto di imitatori degli imitatori, tribute band camuffate e miseria artistica; in esso Segall naviga con sicurezza e non offre un prodotto banale, mai, né si rende protagonista di becere imitazioni semi-volontarie di gruppi o artisti di epoche nelle quali il rock godeva di salute scintillante. Naviga come un capitano sicuro in queste acque agitate, grazie a due caratteristiche che continua a sviluppare ed affinare con gli anni: la prima è la cura del suono, che nel corso degli anni è passata da un amabile lo-fi ad un’estrema attenzione nei dettagli che si riflette in un suono sempre specificamente studiato per l’album, e questo lo possiamo verificare, prescindendo per un attimo dalla diversità di arrangiamento, guardando le ultime tre uscite: il quasi noise di “Harmonizer”, il caldo vintage di “Whirlybird” e il radioso, squillante acustico di una Martin D-35.

La seconda caratteristica è una di quelle che sembra largamente dimenticata dalla maggior parte delle band che oggi si presentano come “rock”: la scrittura. Vista come un inutile orpello rispetto a vestiario, highliner e usare ripetutamente la parola “rock” nei propri testi (cafonata che è concessa solo ed esclusivamente agli AC/DC, perché, beh, che cazzo, sono gli AC/DC), è grazie all’abilità compositiva che Segall riesce a produrre album che concettualmente appartengono allo stesso regno, ma che risultano sempre diversi, nonostante una quantità di differenze non così ampia; ed è sempre grazie alla qualità della scrittura che le influenze emergono, ma rimangono tali, senza mai soverchiare le canzoni dando lo sgradevole .

In “Hello, Hi”, introdotto dalla radiosa Good Morning e da essa inquadrato, sono rare le pennellate elettriche (ad esempio le colorature date a Looking At You) e il moodsi mantiene estremamente solare anche grazie ai fill acustici che costantemente sottolineano, talvolta accompagnandola, talvolta in una sorta di call-and-response, come accade in Distraction, miglior pezzo dell’album. Segall è maturo ed estremamente controllato e si permette anche di ripescare un eccellente quanto misconosciuto pezzo garage rock dei Mantles (Don’t Lie) e farne un amabile, bucolico gioiellino acustico.

Nel canone Segalliano, non è questo il capolavoro. Né, a dispetto della relativa semplicità degli arrangiamenti, è il più immediato: “Hello, Hi”, infatti, viene fuori solo all’ascolto ripetuto, in virtù delle melodie, ma soprattutto dell’attenzione sonora che fa costantemente emergere piccoli dettagli. Se tuttavia di Segall non siete ammiratori, non sarà certo “Hello, Hi” a farvi cambiare idea.

(2022, Drag City)

01 Good Morning
02 Cement
03 Over
04 Hello, Hi
05 Blue
06 Looking At You
07 Don’t Lie
08 Saturday Pt. 1
09 Saturday Pt. 2
10 Distraction

IN BREVE: 4/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.

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