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Oltre l’industrial per sopravvivere: With Teeth e i Nine Inch Nails meno stratificati

Il percorso che aveva portato Trent Reznor, e quindi di riflesso i suoi Nine Inch Nails, a chiudere gli anni ’90 e con essi un intero millennio, era stato un percorso tortuoso fatto di dipendenze che avevano rischiato fortemente di porre fine alla sua vita, questo è indubbiamente vero, ma anche di capolavori indiscussi dentro al quale Reznor aveva riversato l’essenza di una personalità dicotomica sempre in bilico tra l’estasi e l’autodistruzione. Le idee da raffinare e rifinire, l’ambizione ai limiti della malattia di arrivare lì dove credeva di meritare (e lo meritava, eccome se lo meritava), un music business inizialmente restio ad accettarlo e infine quei due dischi che condensavano l’interezza di Trent Reznor da Mercer, Pennsylvania: “The Downward Spiral” del ’94 e “The Fragile” del ’99. Dopo due lavori del genere, osannati e diventati fin da subito pietre miliari di un modo di pensare, fare e vivere la musica, nulla avrebbe potuto reggere il confronto.

Dopo i cinque anni intercorsi tra l’esordio “Pretty Hate Machine” (1989) e “The Downward Spiral” e gli altri cinque tra quest’ultimo e “The Fragile”, l’inizio di anni 2000 dei Nine Inch Nails è però muto. Non esistono praticamente più. La depressione e gli abusi stavano letteralmente soggiogando ogni capacità di Reznor di rimettersi in piedi e tornare a fare ciò per cui aveva iniziato a raccogliere i frutti. Le aspettative, più sue che provenienti dall’esterno, lo logoravano in modo insopportabile. E così non è forse un caso che di anni ne passano persino più dei cinque ormai divenuti prassi per i Nine Inch Nails, ne passano ben sei, prima che qualcosa si muova sul fronte discografico della band. Quel qualcosa si intitola With Teeth ed è una riduzione per Reznor. Riduzione del modo in cui lui stesso entra prepotentemente nella sua musica, alzando in parte un muro tra sé e l’ascoltatore. Riduzione anche dell’impianto sonoro messo in piedi all’interno del disco.

Se nei due precedenti masterpiece, infatti, ciò che caratterizzava il Reznor-pensiero erano le stratificazioni sonore, spesso portate ai limiti del disturbante, in “With Teeth” i Nine Inch Nails si rifugiano in qualcosa di più intellegibile e vicino alla forma canzone, con durate e melodie decisamente meno ostiche, un modo forse per consentire a Reznor di prendere in parte distacco da una alienante autoanalisi e allo stesso tempo avvicinarsi a una forma “pop” (con tutte le virgolette del caso) cui aveva tendenzialmente sempre teso. Brani come i singoli The Hand That Feeds e Only, ad esempio, sono quanto di più catchy mai partorito dalla mente di Reznor, tracce che non avevano mai avuto omologhi nei lavori precedenti, neanche quella “Closer” che era stata il primo vero tassello del successo commerciale dei Nine Inch Nails.

Detta così si potrebbe pensare a un Reznor più sobrio, meno incline al disfacimento e più in pace con se stesso prima che con il mondo circostante. In realtà ciò che emerge dall’analisi delle lyrics di “With Teeth” è il medesimo Reznor con i medesimi mostri cui dare retta, solo che è il modo in cui ci si approccia a rendere diverso “With Teeth”. In Every Day Is Exactly The Same, giusto per menzionare l’apice di ciò, c’è sempre la disillusione e l’apatia di un uomo la cui vita è appesa a un filo, solo che la reazione non è fatta di rabbia, di violenza verbale e sonora come era accaduto fino a qualche anno prima, qui c’è solo un uomo che prende atto di una situazione ormai considerata immodificabile. Stop.

Right Where It Belongs è un altro di questi casi, posta in chiusura di disco come a voler fungere da sigillo alla consapevolezza senza possibilità di conforto di Reznor. E giusto per dare un segno di continuità, in Sunspots torna pure il verso “And nothing can stop me now” già contenuto in “Piggy”, un modo lapalissiano per esternare lo stesso pensiero ma in una forma differente e soprattutto con obiettivi e sottotesti differenti. L’elettronica urlante di dolore che sconquassava i due album precedenti, in “With Teeth” prende anch’essa strade diverse, come quella groovosa e oseremmo dire dance dell’iniziale All The Love In The World o il tribalismo di Love Is Not Enough, che contribuiscono insieme al resto della tracklist a porre la parola fine all’associazione diretta tra la sigla Nine Inch Nails e l’etichetta industrial, ché di clangori industriali in “With Teeth” ce ne stanno davvero pochissimi.

Lontano dall’avvicinare il valore complessivo e l’intensità emotiva di “The Downward Spiral” e “The Fragile”, “With Teeth” ha raggiunto comunque l’arduo risultato di tenere in piedi la vita di un uomo prima che la carriera di un musicista, scrostandogli di dosso parte della sua annichilente propensione all’autodistruzione e discostandolo da quella lunga spirale verso il basso che aveva rischiato davvero di inghiottirlo senza biglietto di ritorno. Col senno di poi, “With Teeth” è stato probabilmente anche il primo decisivo passo di Trent Reznor verso il dare una nuova forma alle sue elucubrazioni, una forma alleggerita e distaccata che s’è portato dietro fino ad oggi, con gli eccellenti risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

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