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Pork Soda: il manifesto freak dei Primus

A pensarci oggi forse non sembra, ma gli anni ‘90 sono stati un periodo incredibile per il rock. Un periodo strano, incomprensibile, dove per un effimero momento sembrava che una rivoluzione musicale – quella dall’imbarazzante termine “alternativo” – potesse davvero modificare lo status quo, e non solo quello delle classifiche. La tanto vituperata MTV (deliziosamente rinominata “emptyTV” dalla buonanima di Cobain, riluttante e involontario messia di quella rivoluzione) proponeva musica straordinariamente diversa, musica che in America si può sentire confinata nelle stazioni radio specializzate e che in Italia non si permette nessuno di far ascoltare neanche alle tre del mattino. 

I Primus: una band di squinternati, con un bassista rifiutato dai Metallica perché tecnicamente troppo dotato e che ha ridefinito il basso elettrico come strumento, persino più di quanto non abbia fatto Geddy Lee dei Rush, e che canta con una voce ancora più assurda; un chitarrista allievo di Satriani che invece di usare la chitarra come strumento che definisce il suono della band, nell’era della chitarra elettrica tornata alla ribalta sta in ombra e pennella schizzi colorati e geometrici come fosse Kandinsky; e infine “Herb”, un jazzista metal con un set di batteria grande quanto un condominio. Questi, nel ‘93, avevano già un disco d’oro con quella follia assoluta di album che si chiama “Sailing The Seas Of Cheese” (1991) e con un album dieci volte più folle (che poi sarebbe quello di cui vi parliamo, Pork Soda, che si traduce come “gazzosa al maiale”, o roba simile) esordiranno direttamente nella Billboard Top Ten. 

Pensando ai tre singoli, tutto diventa ancora più surreale: My Name Is Mud, il più di successo dei tre, parla di due tossici di metanfetamina uno dei quali (Alowishus Devadander Abercrombie detto “Mud”, cioè “Fango”) uccide l’altro per una stupida lite. Nel verso del brano Les Claypool non inventa una delle sue peculiari e complicate linee di basso, ma lo percuote ritmicamente incastrandosi con la linea di batteria di Tim Alexander; la chitarra di Larry LaLonde farà la sua comparsa solo per disturbare, uno sporadico ronzio che talvolta diventa assolo, talvolta un riff velenoso che evapora dopo pochi secondi.

In DMV la voce semi-atona di Les delira su quella che è la motorizzazione americana (“I’ve been to hell, I spell it DMV”), mentre in Mr. Krinkle, il cui video è un piccolo capolavoro di follia che neanche gli illuminati anni ’90 si sono degnati di far passare un numero dignitoso di volte in televisione, il riff è suonato al contrabbasso con l’archetto e il testo riporta delle conversazioni tra Les e Mike Bordin, batterista dei Faith No More e di Ozzy Osbourne. Dovrebbe bastare a far comprendere il livello di libertà e follia di questo mai troppo celebrato trio il realizzare che ciò di cui stiamo parlando sono i singoli, cioè i brani scelti per promuovere l’album in quanto più commerciabili. Ma i Primus sono sempre stati un’anomalia, talmente tanto un’anomalia da essere l’unica band al mondo ad avere un tag mp3 di genere speciale solo per loro (“Primus”, naturalmente) e “Pork Soda” è forse il loro album più anomalo. 

Registrato con pochissimo materiale già pronto (molto del quale antecedente ai due album di studio, come The Pressman, già presente nell’esordio “Suck On This” del 1989, o Welcome To This World), a volte ha di conseguenza il feeling della più fottuta jam session che possiate immaginare, alla quale sono state messe sopra delle liriche incredibilmente stravaganti. Già, i testi, quello sono un altro capitolo. I testi di Les Claypool sono degli assurdi componimenti poetici qualitativamente eccellenti che narrano di piccole storie, a volte tristi, a volte stupide, a volte divertenti, racchiuse in cinque minuti di narrativa che catturano quasi come una puntata delle migliori serie tv – ascoltare “Pork Soda” seguendo i testi con attenzione è come fare binge watching di una bellissima serie.

Questo sarà il loro apice: dopo l’epico concerto in mezzo al fango di Woodstock ’94 i Primus hanno continuato a produrre materiale di buon livello (e anche una piccola atrocità di nome “Antipop” nel ‘99) e quasi replicarono il successo commerciale di “Pork Soda” col successivo “Tales From The Punchbowl” del 1996, ma niente mai riuscirà ad eguagliare quel breve momento nella storia in cui sembrava che i freak, nello specifico dei freak guidati da uno strano tizio con la passione per la pesca e il THC, ce l’avessero fatta, e che una nuova epoca di jam session e stravaganza potesse prender vita da questa vittoria.

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.

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