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Iron Maiden: 35 anni di Somewhere In Time

“Da qualche parte nel tempo”. Come già ricordato di recente parlando della loro ultima fatica (e buon successo), “Senjutsu”, il fattore temporale è fondamentale da sempre nella dialettica degli Iron Maiden, che si tratti di temi storici oppure fantascientifici, entrambi affrontati solitamente con una morale di fondo: compiendo un salto indietro di ben trentacinque anni fino a Somewhere In Time, a dominare le liriche erano principalmente i secondi, sottolineati dalla presenza di guitar synth e bass synth, novità mai utilizzate prima dall’allora quintetto capitanato dalla coppia Dickinson-Harris, e completato dalle chitarre gemelle di Dave Murray e Adrian Smith, e Nicko McBrain alla batteria. Per realizzare l’artwork con protagonista l’immancabile Eddie nei panni di un cyborg circondato da uno scenario futuristico in stile “Blade Runner”, una delle opere più complesse mai messe a punto dal suo creatore Derek Riggs, l’artista impiegò tre mesi per potervi nascondere un’immensità di dettagli e riferimenti ad album e canzoni precedenti del gruppo.

Il viaggio inizia con i riff imponenti e le rullate di batteria della cavalcata Caught Somewhere In Time, basata sul film “Time After Time” del 1979, nel quale Jack lo Squartatore ruba una macchina del tempo costruita dallo scrittore fantascientifico Herbert George Wells, proseguendo con la più melodica ed unica traccia priva di sintetizzatori Wasted Years, un invito a vivere appieno il presente scaturito dai problemi personali di alcuni membri della band, emersi durante l’estenuante “World Slavery Tour”, erecante la firma di Smith. Quest’ultimo è autore unico anche di Sea Of Madness, dove il mare di follia, sottolineato dalla tempesta elettrica delle twin guitars, rappresenta la condizione umana, riprendendo il concetto espresso dall’artista Hieronymus Bosch nell’opera “Ship Of Fools”, e del singolo Stranger In A Strange Land, dominato dai ritmi di basso e batteria e basato sulla storia vera di una spedizione avvenuta nell’Artico, ma con qualche rimando fantascientifico nel testo e nel titolo.

Spingono sull’acceleratore la frenetica The Loneliness Of The Long Distance Runner, la cui origine è di matrice letteraria, ovvero la breve storia narrata in “La solitudine del maratoneta” di Alan Sillitoe, dove la corsa rappresenta la vita degli appartenenti alla classe lavoratrice povera, e i repentini cambi di passo e i lunghi intermezzi strumentali della surreale Deja Vu, frutto di una collaborazione tra Harris e Murray. Non si possono dimenticare le epiche suite harrisiane Heaven Can Wait, ispirata all’omonimo film del 1978, e la conclusiva, più ambiziosa e arzigogolata Alexander The Great (356-323 B.C.), che ripercorre le gesta di Alessandro Magno. Il valido tuffo nel passato (o nel futuro, a voi la scelta di prospettiva) diSomewhere In Time”ci ricorda ancora una volta la buona capacità dei Maiden nel saper raccontare una storia (e la Storia) e nell’evolvere gradualmente, cercando di mantenere intatti i loro equilibri e marchi di fabbrica, così come la costante cura maniacale per ogni minimo dettaglio presente in un loro disco.

DATA D’USCITA: 29 Settembre 1986
ETICHETTA: EMI

Studentessa di ingegneria informatica, musicofila, appassionata di arte, letteratura, fotografia e tante altre (davvero troppe) cose. Parla di musica su Il Cibicida e con chiunque incontri sulla sua strada o su un regionale (più o meno) veloce.

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