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#MySong: “Heroin”, Velvet Underground

Heroin
Velvet Underground
“The Velvet Underground & Nico”, 1967

Non c’è nulla di divertente nella musica. La musica è arte e l’arte è sofferenza, impatto totalizzante: immersione di corpo, anima, suggestioni. Nella stanza ci stanno Andy Warhol e Lou Reed, il biondo tiene la testa del moro appoggiata sul suo petto. Al biondo il moro piace perché è un ragazzo triste ma che non ha paura. Di buttarsi, di farsi sacrificio dell’arte, di mangiarsi la vita e poi vomitarla secondo la sua rielaborazione. È il 1967 quando Heroin viene inclusa nel Banana Album. È il 1967 quando il rock’n’roll cambia definitivamente. Lou tira fuori una siringa ghiacciata, si stringe al braccio un laccio, punta l’ago, spinge lo stantuffo, schizza una dose. E parte il racconto: “Non so dove vado, ma provo a raggiungere il regno – dice – quando infilo l’ago in vena mi sento il figlio di Gesù”. All’arpeggio di Lou si aggiungono il ricamo di Sterling Morrison e il tamburo bitonale di Maureen Tucker che sanno di marcia funebre. Lou ha passato lo stargate, i suoi occhi sono palle di gomma, la sua bocca si contorce ma ancora non del tutto è incosciente: “Ho preso una grande decisione – sussurra – voglio provare ad annullare la mia vita”. La musica accelera, la viola di John Cale si fa marziale. La sostanza vaga, si fa strada, fa danni, Lou dopo qualche minuto non è più lì, vaneggia: “Vorrei essere nato mille anni fa, vorrei aver navigato per mari oscuri, vorrei essere un grande veliero”. Il viaggio è su un’acqua densa. Il racconto è impressionistico, spaventoso. Le chitarre impazzano, il corpo è teso come un arco, le onde urtano gli scogli. Lou bisbiglia: “L’eroina, l’eroina è mia moglie, è la mia vita”, poi emette una risata, grottesca, terrificante. Forse la prima risata incisa su una canzone. E il cerchio si chiude, si rincorre e poi si chiude: “Ringrazio il vostro Dio che non sono cosciente, ringrazio Dio che sto meglio che se fossi morto”. Lou è andato di là. Ha raccontato ed è tornato. Ha detto al rock che non si può più fermare. E che l’arte ha il magnifico sapore di zucchero e pioggia acida.

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