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Emma Pollock – The Law Of Large Numbers

“Hug the piano”. Ovvero, “abbracciare il piano”. In fondo sta tutta in queste tre parole – poste non a caso come intro ed outro – la sintesi di The Law Of Large Numbers, nuovo e secondo capitolo dell’avventura in solitario dell’ex Delgados Emma Pollock. Perché il pianoforte, quantomeno da un punto di vista musicale, è in tutto e per tutto il filo conduttore dell’album, anche quando non veste i panni del protagonista. Mentre l’abbraccio è quello che culla l’ascoltatore dalla prima all’ultima traccia, delicato, splendente, palpabile. Gli abbracci che Emma ha sempre saputo concedere a quanti sono venuti in contatto con la sua voce, prima che con la sua musica. Era così con i Delgados, con quell’indie-pop che ha fatto scuola, e non solo in Europa. Ed è così anche oggi che la Pollock è rimasta, nostro malgrado, da sola a tessere la tela delle proprie creature sonore. Col precedente “Watch The Fireworks” (2007) la strada era già stata segnata, cosparsa da un soffice selciato fatto di melodie ficcanti e strumentazione essenziale, in secondo piano rispetto alle parole di Emma. In “The Law Of Large Numbers” il piatto forte resta il medesimo. Qua e là nel chiaroscuro che pervade l’album filtrano pochi ma luminosissimi raggi solari, come fra le tendine color pastello di una casa in campagna (House On The Hill), e il tepore primaverile suggerito ad ogni passaggio (Hug The Harbour) viene riflesso a specchio per tutto l’incedere del lavoro. La Pollock è unica – o quasi – nel disegnare fluttuanti arabeschi sonori a tinte chiare che incantano e ammaliano (Red Orange GreenChemistry Will Find Me), immergendo chi presta l’orecchio in paesaggi ben identificati, colmi di verde e di corrispondenza biunivoca fra uomo e natura. E persino laddove si fanno avanti sprazzi di campionata modernità (Confessions), il risultato non sembra cambiare. Ricercato e ben curato (alla produzione il marito e, anch’egli, ex Delgados Paul Savage), “The Law Of Large Numbers” rappresenta semplicemente l’ulteriore conferma delle doti compositive di Emma Pollock, alle prese con una carriera da solista che, se difficilmente supererà l’avventura coi Delgados, non è detto non ci si porti a ridosso in termini qualitativi.

(2010, Chemikal Underground)

01 Hug The Piano (And)
02 Hug The Harbour
03 I Could Be A Saint
04 Red Orange Green
05 Nine Lives
06 House On The Hill
07 Letters To Strangers
08 The Loop
09 Confessions
10 The Child In Me
11 Chemistry Will Find Me
12 Hug The Piano (Or)

A cura di Emanuele Brunetto

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