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Radiohead @ Roundhouse, Londra (26/05/2016)

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Ce l’ho fatta. Sono una delle poche elette. È stata un’impresa a dir poco titanica trovare un biglietto per una delle tre date londinesi che hanno sancito il ritorno dei Radiohead, dopo un’assenza dalle scene di quattro anni e meno di un mese dopo il lancio a sorpresa del nuovo A Moon Shaped Pool. Questa volta la caccia al biglietto ha avuto un’eco mediatica non indifferente, complice il sold out avvenuto nel giro di pochissimi minuti ‒ minuti di agonia da refresh compulsivo della pagina, ci tengo a sottolineare ‒  e il tentativo da parte dei bagarini di rivendere i biglietti a 6.000 sterline l’uno, circa 91 volte il prezzo originale.

Sì, perché il quintetto di Oxford ha optato per un cambio radicale in questo tour: niente venue dalle dimensioni da stadio ma concerti in sale dalla capacità limitata, per un’esperienza non soltanto unica, ma soprattutto più intima. I numeri parlano chiaro: l’ultima volta che hanno suonato a Londra, nel 2012, i Radiohead hanno scelto la O2 Arena, che ospita oltre 20.000 persone. Quest’anno hanno preferito la storica Roundhouse di Camden, che ha una capacità ridotta di appena 3.300 posti. E infatti tra le facce dei fan in fila prima dell’apertura delle porte troneggia un’espressione serafica, di silenzioso e vittorioso giubilo, mentre la strada è costeggiata di fan disperati che imbracciano cartelli in cui si dicono disposti a qualunque cosa pur di avere un biglietto.

Quando le luci si spengono, l’aria è una coltre densa di elettricità e un boato, più simile a un abbraccio che altro, li accoglie sul palco. Le prime cinque canzoni sono le stesse che aprono il nuovo disco, in ordine, e dal vivo hanno una carica esplosiva e una resa perfetta, soprattutto Ful Stop, ancora più incalzante che nella versione in studio. Il resto della scaletta è un mix di sorprese, ripescaggi e grandi classici di una bellezza che spezza quasi il cuore. Quando comincia Talk Show Host, che per me ha un valore affettivo difficile da esprimere a parole, mi ritrovo a singhiozzare, come se l’emozione faticasse a essere contenuta e un pezzo di me traboccasse. Durante Exit Music (For A Film) il pubblico è come sospeso nel vuoto e il silenzio che regna è assoluto.

Malgrado l’atmosfera quasi sacrale che si respira, i Radiohead stasera sono di buon umore, a tratti raggianti, e Thom Yorke svela un lato divertente che difficilmente si riesce a scorgere di solito. Non soltanto per i balletti scatenati ai quali la sua carriera solista ha abituato ‒ e che con Myxomatosis toccano nuove vette ‒ ma soprattutto per le interazioni con il pubblico. Per introdurre l’ultima canzone, una impareggiabile Paranoid Android, scherza dicendo: “And finally, before your vegan kebab on the way home…”, lanciando una neanche tanto sottile frecciatina verso gli hipster; mentre in un finto moto di generosità dopo alcune richieste dei fan si lancia in un: “If you stay here all night, we’re gonna play everything”. La folla acclama felice e lui aggiunge sarcastico “…Not”.

Ma il momento più alto di questo nuovo lato umano dei Radiohead si raggiunge con Nude, quando Jonny Greenwood sbaglia l’effetto del sintetizzatore e suona una nota stonatissima. Thom Yorke, divertito, smette di cantare, lo guarda male e comincia a prenderlo in giro, facendo esplodere il pubblico in una risata che rompe qualsiasi tensione, perché anche i Radiohead sbagliano. Poi ci chiede se per caso abbiamo fretta e ridendo ricomincia il pezzo da capo, questa volta senza ombre né sbavature.

Sono molte le chicche memorabili della scaletta: tra loro My Iron Lung, un autentico muro di suono, Idioteque, 2 + 2 = 5 che mancava dalle scalette da decisamente troppo tempo, una suggestiva You And Whose Army e, a sorpresa, Planet Telex. L’energia che si respira è unica e tutti avvertiamo nettamente la sensazione di essere parte di qualcosa di speciale. Sì, perché checché se ne dica, i Radiohead non sono solo un fenomeno mediatico, sono una band capace di incantare, innovarsi ed emozionare come nessun altro oggi. E non sono in molti a poter vantare una simile conquista dopo 25 anni di carriera e ben 9 album. Di sicuro io non dimenticherò facilmente questa serata. Per i prossimi tre secoli.

SETLIST: Burn The Witch – Daydreaming – Decks Dark – Desert Island Disk – Ful Stop – Lotus Flower – Talk Show Host – My Iron Lung – The Gloaming – Exit Music (For A Film) – Separator – Identikit – The Numbers – Myxomatosis – Reckoner – Idioteque – Everything In Its Right Place —ENCORE 1— Morning Mr. Magpie – 2 + 2 = 5 – Nude – Planet Telex – There There —ENCORE 2— Present Tense – You and Whose Army? – Paranoid Android

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