Home LIVE REPORT Ulan Bator – 13/05/2009 – Roma – Init

Ulan Bator – 13/05/2009 – Roma – Init

Dunque eccolo di nuovo Amaury Cambuzat su un palco. Eccolo di nuovo in Italia. Eccoli gli Ulan Bator che non davano segni discografici da quattro anni, quando cioè quel “Rodeo Massacre” aveva lasciato a Cambuzat una serie di punti interrogativi sulla sua carriera e sulla sua vita. Amaury ce l’ha raccontato nell’intervista: a un certo punto aveva chiuso con il mondo facendosi attorcigliare da un esaurimento nervoso: vagabondaggio senza sosta, poca musica, apparizioni sporadiche coi Faust e poco altro. Uno stand-by pericolosamente prolungato che aveva fatto temere il peggio. Sul palco dell’Init però di quell’uomo in crisi non c’è traccia, anzi, se è possibile, Amaury appare più rilassato del solito, disinvolto, con la consueta sigaretta in equilibrio tra le labbra e la sua intensità che affida al microfono. Da presentare al pubblico c’è “Soleils”, l’ep uscito questa primavera per l’etichetta di casa: la Acid Cobra Records. Un lavoro davvero riuscito per gli Ulan Bator, cinque pezzi ora sole, ora eclissi, ora luce, ora buio che fanno bene al cuore, certamente a quello di Cambuzat. E si inizia proprio con il riff di Ephemere – portata dalla band ad una lunghezza psichedelica che piace tanto – che apre l’ep. E’ vero, a fianco di Amaury non c’è Olivier Manchion. La sua assenza si “sente”, ma soprattutto si “vede”. I set dei due parigini assieme, infatti, erano da spellarsi le mani da applausi. Ma il passato è passato e oggi a bordare di suoni elettrici c’è una band di tutto rispetto. Alle pelli l’ormai veterano Alessio Gioffredi, al basso un eclettico Stéphane Pigneul e ai synth un musicista di grande prestigio qual è James Johnston che ha suonato con Nick Cave e Lydia Lunch. Di “Soleils” passano in rassegna tutti i tasselli: l’onirica Airplane sussurrata da Amaury, la tenera Soleil irradiata da feedback e dal drumming solare di Gioffredi, la scontrosa Univers cadenzata di basso da Pigneul (pure al controcanto) e, quindi, il capolavoro Tabou: arpeggio di chitarra, apertura eterea, richiusura a riccio e poi definitivo squarcio elettrico con uno degli assolo più belli che Cambuzat abbia mai scritto per i suoi Ulan Bator. E del passato? Non sono mancati pezzi come Soeur ViolenceSanta LuciaPensees Massacre e non è mancata la chiusura con il trip di oltre sedici minuti di Let go ego.

* Fodo d’archivio

A cura di Riccardo Marra