Home EXTRA 2010-2019: una playlist di fine decennio

2010-2019: una playlist di fine decennio

A poche ore dalla fine del 2019 e, di conseguenza, dal cambio di decennio, vi proponiamo dieci tracce che ripercorrono, in un certo qual modo, gli anni ’10 del 2000.

2010: Jónsi, “Kolniður”

Jónsi ha ali colorate e il profilo verso il futuro. Che voli quelli con i Sigur Rós! Un decennio di voli planari. Ora sente di volersi staccare dallo stormo allontanandosi a colpi di virate acrobatiche. L’elettronica, la sua voce protagonista, la sua storia. Il vento è quello giusto.


2011: Anna Calvi, “Desire”

Certi capelli tirati all’indietro e rossetto rossissimo, Anna spunta che quasi si erano perse le speranze di avere una nuova rocker inglese sulle tracce di Polly Jean. E invece imbraccia una chitarrona enorme quando scudiscia la voce nelle epiche vallate di questo pezzo bramoso.


2012: Rover, “Carry On”

Questo ragazzone dai capelli ottocenteschi e voce drammatica debutta con un disco piovoso ma pieno di suoni. Andare avanti nonostante la fine di tutto è la missione della canzone più toccante della tracklist: “Lo vedi il mio cranio che si spezza?” – si agita Timothée Régnier.


2013: Nick Cave & The Bad Seeds, “Jubilee Street”

Quando ad un lustro di distanza Nick Cave torna con i Bad Seeds è una festa per tutti. In copertina c’è Nick nel suo abituale completo elegante e poi la moglie Susie completamente nuda. Come nuda è la strada che a Brighton mostra tutti i vizi e i peccati della gente per bene.


2014: Beck, “Blue Moon”

Nell’ottovolante di Beck il 2014 rappresenta il momento della discesa. Della sosta, del fiato che si rigenera. Strumenti acustici, introspezione e la luna del poeta a cui chiedere il senso della propria vita. Che è blu (la vita), come luna.


2015: Kendrick Lamar, “King Kunta”

Scoppietta un vinile e scoppia la protesta, quella di Kendrick il californiano con la lingua a pugnale. Lamar sconquassa il cemento con la sua canzone che parla di America, razzismo, droga e politica. E qualcosa si ferma e qualcosa inizia.


2016: David Bowie, “Lazarus”

“Guarda qui, sono in paradiso” – Bowie è bloccato in un letto d’ospedale e si dimena. Una benda lo rende malato e supereroe allo stesso tempo. È Lazzaro che cerca di rinascere, è uomo che vuole la libertà. Non sapevamo che tutto quello non era musica, ma vita reale. 


2017: Roger Waters, “Déjà Vu”

Un pianoforte. Il senso di rivalsa. Certo bruciore di stomaco. La voglia di giustizia. Il pugno che si chiude. “Il tempio è in rovina / I banchieri ingrassano / Il bisonte è andato / La cima della montagna è stata spianata”. Waters indignato come ai tempi dei Pink Floyd e non è un déjà vu.


2018: Calexico, “Eyes Wide Awake”

Il mondo ritrova linee di confine, fili spinati, muri. Dove c’era una distesa d’oro e d’argento, ora cavalli di frisia e lamiere. “Chi è che continua ad avanzare sulla linea?” – si domandano i Calexico a vent’anni dal primo disco. Mossi dallo stesso vento e dalle stesse trombe di frontiera.


2019: Iggy Pop, “Loves Missing”

“Sento di essermi sbarazzato dell’insicurezza cronica che mi ha sempre perseguitato“, ha detto Iggy a proposito di questa canzone. Insicurezza? Chi? Iggy Pop? Anche le iguane sanno piangere. Anche i serpenti più velenosi si sbattono per amore e agognano libertà.