Home EXTRA Un saggio sulla gestione dell’eredità: Bruce Springsteen e l’operazione Nebraska

Un saggio sulla gestione dell’eredità: Bruce Springsteen e l’operazione Nebraska

Photo Credit: David Michael Kennedy
Photo Credit: David Michael Kennedy

Nel 2017 Bruce Springsteen firma con Sony un contratto che, sulla carta, sembra un semplice rinnovo discografico: tredici album entro il 2026. Quattro anni dopo, nel 2021, lo stesso artista cede alla medesima major l’intero suo catalogo – masters e publishing – per una cifra che sfiora il mezzo miliardo di dollari. Plot twist. Si trattava di un affare enorme per Springsteen, considerato un “top asset” per la solidità del catalogo, la fedeltà del pubblico e il pieno controllo dei diritti. Aspettare anche solo due o tre anni, quando i tassi d’interesse sarebbero saliti e il mercato si sarebbe fatto più prudente, avrebbe probabilmente significato vendere a meno. Dal canto suo, la Sony aveva ora un incentivo fortissimo a valorizzare le opere storiche del Boss con packaging curati, materiale inedito e versioni alternative, operazioni capaci di generare nuovi flussi d’introiti anche decenni dopo l’uscita originale.

Così, quattro anni più tardi, nel 2025, l’etichetta pubblica quelli che forse per quarant’anni sono stati gli inediti più attesi del catalogo di Springsteen, talmente discussi da far dubitare persino della loro reale esistenza. A Giugno arriva “Tracks II – The Lost Albums”, un totale di 83 brani scartati dalle uscite ufficiali dal 1983 al 2018. Il 24 Ottobre, a un giorno di distanza dall’uscita al cinema del suo primo biopic (“Springsteen: Deliver Me From Nowhere”), è il turno di Nebraska ’82: Expanded Edition. Non si tratta di una semplice ristampa, ma di una vera immersione nell’universo di “Nebraska”: una raccolta di outtakes e brani acustici solisti, con demo originali mai pubblicate (Child Bride, The Losin’ Kind, Downbound Train), versioni in studio (Gun In Every Home, On The Prowl), e soprattutto le session “Electric Nebraska” con la E Street Band, versioni full band delle tracce poi pubblicate in forma spoglia. Completano il cofanetto una registrazione dal vivo dell’intero “Nebraska”, filmata da Thom Zimny al Count Basie Theatre, e diciassette brani contemporanei al periodo (quindici dei quali inediti).

Quella stessa intimità entra di nuovo nel circuito dell’industria ma stavolta con il consenso del suo unico autore. Eppure stiamo parlando di “Nebraska”: l’album che non doveva mai uscire. Nato come un sussurro fuori dal tempo, un disco che rifiutava il rumore del successo per rifugiarsi nella voce di un uomo solo davanti a un registratore. Perché pubblicarlo ora? Perché riportare alla luce, dopo quarant’anni, il suo progetto più anti-commerciale, un disco “casalingo”, quasi segreto, con una mossa di marketing che sembra contraddire proprio lo spirito che l’aveva generato, e per di più senza esserne più il proprietario formale? Per soldi? Per rispettare la scadenza dei tredici album con Sony? Ed è qui che nasce il paradosso: è la mossa di un uomo d’affari o l’ultimo atto di un autore che cerca pace con la propria eredità?



La risposta sta, forse, in una cassetta registrata quarant’anni prima in una casa del New Jersey. “Nebraska” era, nel 1982, un rifiuto dell’industria, un album nato in isolamento, inciso su un registratore Teac a quattro piste, volutamente “impuro”. Era, come disse lo stesso Springsteen, “il disco che non doveva uscire”. Ora, nel 2025, la sua estensione (“Electric Nebraska”, la “Expanded Edition”) diventa un prodotto perfettamente inserito nel ciclo contrattuale con Sony, parte di quel flusso di tredici pubblicazioni che l’artista deve consegnare. Quindi sì: in apparenza, la sacralità privata di “Nebraska” viene inglobata nel meccanismo industriale. Ma Springsteen gioca a un altro livello. Ha sempre avuto una consapevolezza profonda del rapporto tra autenticità e mercato. Tutta la sua carriera è una negoziazione tra intimità e spettacolo, autobiografia e industria, verità e diceria. Springsteen sa benissimo che “Nebraska” è l’album “intoccabile”, il suo cuore nudo. Proprio per questo lo riapre solo quando ha la maturità per farlo dentro un contesto istituzionale.

In un certo senso, “Electric Nebraska” è la messa in scena perfetta del momento in cui anche la sua solitudine diventa patrimonio pubblico. Ma la scelta di farlo in questa fase non è mercantile: è meta-narrativa. Come se dicesse: “Questa è la mia intimità che, nel tempo, diventa parte della storia collettiva. E questo non cancella la verità originale: la amplifica.” Springsteen ha voluto quel contratto con Sony. Non è un artista “intrappolato” da una major: è uno dei pochissimi con la forza di negoziare i propri vincoli. Molto probabilmente, la clausola dei tredici album gli consente ampio margine di scelta sui tempi, i contenuti e la natura dei progetti. Un cofanetto come “Nebraska ’82” non è un’imposizione, ma un modo per “onorare il patto” con un gesto che non tradisce la propria poetica. Quindi sì, il vincolo esiste, ma Springsteen lo reinterpreta come cornice, non come coercizione. Non fa uscire “Electric Nebraska” per “riempire una quota”, ma perché, dopo quarant’anni, quel materiale ha finalmente un senso compiuto nel suo racconto artistico.



L’intimità, per Springsteen, non è mai solo privata. È uno spazio condiviso attraverso il racconto. Pensiamo ai suoi concerti, alle session al Walter Kerr Theatre di Broadway (2017–2018), alla sua autobiografia “Born To Run”: tutte le volte, Springsteen trasforma la confessione in un rito collettivo. “Nebraska” è l’origine di quel gesto ma “Electric Nebraska” ne è la traduzione rituale, la trasformazione dell’intimità in memoria pubblica. In questo senso, la cessione dei diritti a Sony non distrugge l’intimità di “Nebraska”; ne sancisce la trasmissione. È il passaggio dall’opera privata all’opera ereditata.

C’è anche un aspetto pratico: il lavoro di recupero, restauro e riedizione del materiale di “Nebraska” è stato molto lungo e complesso. Le sessioni “Electric Nebraska” erano su nastri analogici, mai completati, in parte deteriorati. È probabile che nel 2021 la decisione di pubblicarli fosse in fase di valutazione, non ancora certa. Vendendo a Sony, Springsteen si è assicurato che fosse proprio la sua storica etichetta a finanziare e gestire queste future operazioni d’archivio. Sony aveva risorse, archivi, e una relazione di fiducia pluridecennale. In questo senso, la vendita non ha interrotto “Electric Nebraska”: l’ha resa possibile. Ha messo il progetto nelle mani di un partner che aveva interesse e mezzi per farlo uscire in grande stile.

Sì, a livello logico, “Nebraska” e un contratto ultra milionario con una major rappresentano sono due poli opposti: solitudine, silenzio, anonimato vs produttività, industria, visibilità. Ma Springsteen vive proprio nell’interstizio tra questi poli. Ha sempre saputo che per parlare al mondo doveva usare la macchina del mondo, e per restare vero doveva continuamente ridefinire i confini tra il suo sé interiore e il suo sé pubblico. Nel 2025, quando “Electric Nebraska” esce come prodotto Sony, non sta tradendo l’intimità originaria, sta chiudendo il cerchio: quell’album nato nel silenzio di una stanza lo rompe trasformandolo per sempre in memoria condivisa.

Lejla Cassia
Catanese, studi apparentemente molto poco creativi (la Giurisprudenza in realtà dà molto spazio alla fantasia e all'invenzione). Musicopatica per passione, purtroppo non ha ereditato l'eleganza sonora del fratello musicista; in compenso pianifica scelte di vita indossando gli auricolari.