Home INTERVISTE Chris Leo – “Diventerei pazzo senza chitarra e letteratura”

Chris Leo – “Diventerei pazzo senza chitarra e letteratura”

Dicembre 2006: Se esistesse una grande enciclopedia dell’indie-rock, sotto la voce Chris Leo trovereste un mucchio di notizie, statene certi. Il sultano del sentimento ha scritto pagine indimenticabili per la scena alternativa americana di fine secolo, dai Native Nod agli strepitosi Van Pelt, dai The Lapse agli ultimissimi Vague Angels. Il Cibicida l’ha incontrato per voi in quel di Catania (nell’ormai lontano 2006…).

Domanda: Prima di tutto, Chris: come va? Questo è probabilmente il momento migliore della tua carriera dopo l’esperienza con i Van Pelt, sei d’accordo?
Chris: Sicuro, hai assolutamente ragione, perché finalmente ho di nuovo una band. Ho aspettato molto a lungo prima di trovare le persone giuste con cui suonare, e adesso le ho trovate.

Domanda: Che rapporto hai con il nostro paese? Insomma, torni in Italia quasi ogni anno e sei ampiamente apprezzato da molte band nostrane, come i Tre Allegri Ragazzi Morti.
Chris: Non lo so, insomma… io mi sento in parte italiano. Mi piace molto, amo praticamente tutto, e penso ci sia un clima assolutamente perfetto.

Domanda: Sul sito dei Vague Angels abbiamo letto che sei anche una buona forchetta: hai apprezzato le nostre lasagne al pistacchio, vero?
Chris: (Ride, ndr) Sì, certamente! Ma sai, penso ci sia anche una connessione fra New York e l’Italia, che sta sempre sotto i nostri occhi. Insomma, centodieci anni fa, quando gli italiani cominciarono ad arrivare, beh, anche gli irlandesi fecero lo stesso in quel periodo, e anche gli ebrei, ed i tedeschi. Tutti loro hanno lasciato un’impronta su New York, il loro stile, il loro cibo, proprio ogni cosa. E’ una relazione naturale.

Domanda: Dall’hardcore dei Native Nod alle sonorità sghembe e scarne dei Vague Angels: c’è stato un particolare percorso che ti ha condotto verso questi cambiamenti?
Chris: Percorso… (riflette, ndr). Beh, credo la musica per me sia stata ultimamente più sperimentale di un tempo. Sai, lavorare su qualcosa è una passione naturale, qualcosa che mi dona gioia immediata; ma non sempre la musica che creo mi dona gioia immediata, spesso è molto difficile giungere al risultato sperato. Mi piace quella sensazione: è come quando lavori a lungo, e sudi tanto… è qualcosa di simile. Sai, le parole non fanno che susseguirsi, e così le mie due passioni principali, la musica e la scrittura, non possono essere separate, e non lo saranno per il resto della mia vita. Quando le parole iniziano a cambiare, allora anche la musica incomincia a cambiare: c’è sempre un nesso che le unisce. Per questo penso che se qualcosa accomuna Native Nod e Vague Angels, si tratta proprio della connessione fra parole e musica.

Domanda: Perché i tuoi progetti sono sempre così brevi? Sai che stiamo ancora aspettando il terzo album dei Van Pelt?
Chris: Dunque, i Native Nod non sono durati a lungo perché eravamo studenti della scuola superiore, eravamo giovani… e sai, questi progetti sono destinati ad interrompersi presto. Per quanto riguarda i Van Pelt, all’interno del gruppo cambiava continuamente un membro, in ciascun tour, in ciascun album. E così, dopo due dischi registrati, mi sono semplicemente reso conto che quella non era una band vera e propria. Per questo ho voluto un nuovo progetto, The Lapse: un progetto, non una band. Con i The Lapse ho inciso due dischi, poi è accaduto che mentre mi ritrovavo a lavorare sul nuovo album, ho incominciato a scrivere il mio primo romanzo, “White Pigeons”. Così, parte del libro è cresciuta insieme all’album, e parte dell’album insieme al libro, fino a diventare un’unica grande idea. In quel momento, ho capito che dovevo chiudere il capitolo The Lapse. E così ho fondato i Vague Angels, che sono diventati un tutt’uno con la mia attività di scrittore. Mentre ero in giro a pubblicizzare il libro, ero anche in tour con i Vague Angels, ed il progetto ha iniziato ad essere nuovamente una band.

Domanda: Siamo molto curiosi: com’è lavorare con i propri fratelli?
Chris: Dunque, la musica che propone mio fratello maggiore non ha niente a che vedere con la mia, quindi non ci ritroviamo mai a lavorare insieme. Mio fratello minore, Danny, suona la batteria nei The Gang, ed ha anche un altro gruppo chiamato The Holy Childhood, nel quale io suono la chitarra. Mio fratello Ted, con i The Pharmacists crea brani incredibili, delle pop songs perfette, mentre Danny ama le sonorità più insane, non gli piace seguire una forma canzone ben definita. Io penso di stare in mezzo alle loro due influenze: mi piace seguire la forma, ma mi piace anche il contrario.

Domanda: Parliamo un po’ della tua esperienza come scrittore. Moltissimi fra i tuoi testi hanno parecchi riferimenti autobiografici: nomi, luoghi, situazioni. In fondo, sei sempre stato un narratore…
Chris: Sì, sicuro.

Domanda: Ci puoi parlare un po’ del tuo libro “57 Octaves below the Middle C”?
Chris: Certo. C’è il protagonista si imbatte nella madre della sua ragazza in una strada di New York. E loro due amano praticamente le stesse cose, e ciò che amano di più è proprio New York. Non si sarebbero mai incontrati, se non fosse stato per quella ragazza: cioè la ragazza di lui, la figlia di lei. E questa ragazza è un paradosso, perché è lei che li tiene uniti, ma è lei che alla fine li separa. E ogni volta che il protagonista e la madre di lei si incontrano per parlare della ragazza, finiscono per parlare di New York, perché sono troppo timidi. New York è una metafora della ragazza, ma qualche volta loro parlano di lei, e allora lei diventa una metafora di New York, e alla fine del libro non riesci a capire se la ragazza è metafora di New York, se New York è metafora della ragazza, o se non esistono assolutamente metafore. Il libro è anche illustrato da un giornale newyorkese, e tutte le immagini ritraggono New York: questo contribuisce a rendere l’atmosfera della storia.

Domanda: Le emozioni che si provano con una penna in mano, o con una chitarra, possono essere differenti fra loro. Quali ti fanno sentire più vivo?
Chris: Ho bisogno di entrambe. Ho bisogno di entrambe, davvero. Se ne dovessi perdere anche una sola, diventerei pazzo.

Domanda: Preferisci lavorare da solo o in gruppo?
Chris: Beh, sai: tutto ciò che faccio è una conversazione. Tutto ciò che voglio è avere una conversazione “viva”, per questo spero che i miei libri e i miei dischi siano vivi davvero. Mi piace lavorare in gruppo, ma non è sempre così, spesso lavoro da solo.

Domanda: Non pensi ci sia un po’ di confusione, attualmente, nell’ambiente musicale? Termini come “indie” o “emo”, che spesso vengono associati ai tuoi lavori, non hanno perso il proprio senso?
Chris: Assolutamente sì. Sai, ogni volta che dai una definizione di qualcosa, quella definizione dopo un po’ muore. Non so come li chiamate qui, ma in America gli studenti disabili venivano chiamati “ritardati”. Poi “ritardati” assunse un significato dispregiativo, e allora furono chiamati “handicappati”, e anche “handicappati” assunse un significato dispregiativo, e così via. Esistono tanti modi per chiamare una singola cosa, ma quella cosa alla fine non è il nome che porta.

Domanda: Ultima domanda, di rito: se ti dico “Cibicida”, cosa ti viene in mente?
Chris: Beh… la miglior webzine di Catania!

* Foto d’archivio

A cura di Michele Leonardi