Home INTERVISTE Joan As Police Woman: «La gente non vuole capire il rock»

Joan As Police Woman: «La gente non vuole capire il rock»

Non chiedete a Joan Wasser aka Joan As Police Woman qualcosa su Jeff Buckley, lei non risponderà. Ed è probabilmente la scelta più giusta, intanto per salvaguardare la privacy del suo rapporto con l’eccezionale artista inghiottito misteriosamente dal Mississippi nel 1997, e poi perché questa storia di Joan “ex di Buckley” ha davvero stancato. Oggi la sua musica, i suoi due dischi “Real life” e “To Survive” e le sue ottime qualità di lyricist e di polistrumentista, impongono una maggiore considerazione per la sua dignità musicale. Un’artista, la Wasser, che ha toccato molti luoghi della musica: dagli esordi come violinista alla militanza in un mucchio di band universitarie, fino al lavoro di sessionist e all’arrivo definitivo al rock battezzato dalle collaborazioni illustri con Lou Reed, Nick Cave o Antony And The Johnsons e sì, certo, anche dal rapporto con un musicista immenso come Buckley. La “poliziotta” di Brooklyn ha chiacchierato con Il Cibicida di sé e della sua carriera. Buona lettura.

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Joan, hai da poco realizzato il videoclip di “Start Of My Heart”. Nel testo scrivi: “Come un raggio svegli il mio cuore, con le tue luci del nord, con la tua anima”. È una dichiarazione d’amore alle tue origini?
No, in realtà fa riferimento alla città in cui vivo adesso, New York. È una canzone nella quale parlo di qualcuno che amo.

Hai viaggiato tanto nella tua vita, ma qual è il luogo che senti di più come “casa”?
Onestamente, mi sento a casa quasi da ogni parte. Se c’è un luogo in cui sono a mio agio, allora quello si può chiamare “casa”. Il mio corpo è la mia casa. Probabilmente è uno spirito di adattamento che ho sviluppato per via di tutti i viaggi che ho fatto e faccio normalmente, ma credo che tutti abbiamo la capacità di trovare noi stessi dovunque ci troviamo. E poi, ho incontrato persone che mi piacciono dappertutto. L’interazione con la gente e i luoghi dove sono passata, sono stati fondamentali per fare di me quella che sono oggi, forse anche di più rispetto al contributo di luogo in cui sono cresciuta. Certo, Brooklyn è un amore a sé. Lì è dove vivo e dove vivono anche i miei amici più cari. Sto lì da quindici anni e penso che non ci sia niente di meglio che dormire nella propria città, nel proprio letto.

Parlando dei tuoi esordi, sei nata come violinista, quando è arrivato il rock?
Ho sempre ascoltato molto rock e tutti i tipi di musica di quel tipo. Ho studiato musica classica, ma iniziai ad andare a concerti rock, punk rock, new wave, hip hop, rap, jazz e soul nello stesso momento in cui al college mi univo alle band che mi chiamavano a suonare. È stata una naturale evoluzione, ammiravo la musica classica ma questa non si trovava dove invece era il mio cuore.

Poi è arrivato il momento di unire la scrittura alla musica. Quanto è stato difficile fondere le due fasi?
A un certo punto, dopo aver suonato il violino in questi gruppi al college, ho deciso di prendere in mano la chitarra. Non avevo mai pensato di diventare una cantante o una songwriter, posso solamente dire che quando ho iniziato a suonare lo strumento, le melodie sono venute fuori da sole e con quelle anche le parole. All’inizio le mie lyrics erano molto impressioniste, non sapevo come scrivere su di me in maniera onesta o forse avevo paura di farlo. Poi sono riuscita a tirare fuori me stessa provando a cantare cose che mi facevano sentire a disagio, soprattutto sentimenti intimi che conservavo dentro. Ecco che sono nati i miei dischi.

“Real life” e “To Survive”. Vizi e virtù?
Rappresentano entrambi il luogo in cui mi stavo dirigendo nel momento in cui li ho scritti, fortunatamente la mia è una vita eccitante, altrimenti ascoltereste canzoni noiosissime.

Nella tua carriera hai collaborato con grandi artisti: Lou Reed, Antony, Nick Cave…
Sì, ho lavorato con moltissimi eccezionali artisti. Alcuni famosi, altri meno. Ho raccolto qualcosa di incredibilmente importante da ogni esperienza e spero che la cosa sia reciproca. I tre citati poi sono musicisti che è stato un onore conoscere prima che suonarci assieme.

Ti dà fastidio quando ti chiedono di Jeff Buckley?
Non rispondo a nessuna domanda abbia a che fare con Jeff. Scusatemi.

Hai suonato a Catania di recente. In Italia i concerti rock non sono mai considerati come momenti culturali. Secondo te perché?
Credo che il rock non sia considerato da molti un’arte “alta”, perché la gente non ne capisce il linguaggio o la forma e non vuole perdere il proprio tempo a capire. La cosa che dispiace di più è che spesso sono i ragazzi giovani a maltrattare e minacciare la vecchia guardia.