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Piano Magic: il lungo addio

«A presto, Glen, Ex-Magician»: mi saluta così Glen Johnson a intervista finita, non lasciando nessun spazio ai dubbi. La scelta di sciogliere i Piano Magic è presa e netta, fermissima. Glen ha voglia di altro, di cercarlo, di voltare pagina. E anche quando provo (inutilmente) a riaccendere la miccia (“Verrete in Italia almeno per un tour di congedo?”), lui taglia corto: «No, mi spiace, è tutto finito». Dunque i Piano Magic stoppano la loro corsa dopo 20 anni di onorata carriera. Due decenni conditi con 12 album e centinaia di concerti in lungo e largo. Vent’anni di rock scuro, evocativo, mai banale. Ma la cosa strana di Closure (qui la recensione), il nuovo disco della band londinese in uscita questi giorni e oggetto della chiacchierata con Johnson, è che è stato concepito come ultimo già dall’inizio. Una specie di testamento. Una sorta di requiem. Ecco, adesso il dubbio è: come si scrive un album d’addio? Anzi no un momento, voglio partire da un altro punto:

Ciao Glen, come ci si sente dopo la pubblicazione di un album d’addio?
Disperato! No, scherzo! Direi sollevato, eccitato, liberato. Sono orgoglioso di questo disco e mi sto godendo le interpretazioni che la gente gli sta dando. Quando si lavora a un album si tende a guardarlo in termine di tecnicismi e mai nel suo insieme. Più come pezzi che si incastrano, hai presente il meccano? Invece serve fare un passo indietro per capire cosa si è costruito.

A noi ascoltatori, quello che avete costruito, appare un disco molto “suonato”, con tanta musica dentro.
Sì è vero. Ho fatto uno sforzo immane perché non fosse un disco di solo rock. In passato abbiamo inciso troppe chitarre, qui volevo che ci fossero dei momenti meno pieni come nei dischi di David Sylvian o dell’ultimo Leonard Cohen. Trovo importante che un albo abbia stanze segrete, stanze che non siano visitabili al primo ascolto, ma che col passare del tempo possano accogliere gli ascoltatori.

A proposito di stanze, in queste canzoni c’è molta oscurità ma una luce resta sempre accesa. È una chiave d’accesso?
Quando 18 mesi fa è morto mio padre forse per la prima volta ho sentito il vero dolore. Tutte le volte che in passato mi sono sentito depresso, ecco… nulla in confronto a quel dolore. Il dolore t’inghiotte per intero e non c’è niente che puoi fare. Ma una cosa rende quel brutto momento un’occasione: da lì inizi a vedere le cose in maniera più chiara. La vita è breve e si deve cercare di dare il meglio. Ok, può sembrare una frase fatta, ma vedi… ci sono persone che credono che qualcosa gli spetti e attendono. Io invece credo che avessero ragione i Talk Talk quando cantavano “Life’s what you make it”. Ecco. Qualcuno ti lascia? Sopravviverai! Non hai ottenuto un contratto discografico? Sopravviverai! Il tipo dei Piano Magic ti dice un sacco di cazzate nell’intervista? Sopravviverai!

No, dai, non c’è pericolo! Senti, musicalmente “Closure” vive più di emotività rock che di elettronica.
Adoro elettronica e chitarre allo stesso modo. Sono cresciuto con Black Sabbath, AC/DC, Deep Purple, ma poi anche con Specials, Madness, The Beat per non parlare di Cabaret Voltaire, Soft Cell, Kraftwerk, New Order. Ho amato anche Smiths, Codeine, Fugazi, Dinosaur Jr, Cocteau Twins, etc etc, la lista è lunga! Ho ascoltato tutto degli ’80 e poi nei ’90 ho sperimentato le campionature, appassionandomi anche di electro-prog come Bjork e Aphex Twin. Tutto questo è entrato nei Piano Magic anche se in maniera semi-cosciente. Devo dire che non capisco chi ama canzoni con testi privi di sentimento. Io ho bisogno di canzoni che riflettano la condizione umana.

Di sentimento ce n’è tanto nella voce di Petar Walsh Milton che ospiti in “Attention To life”. Queste collaborazioni, come quella di Brendan Perry in “Ovations” del 2009, sono regali che fai a te stesso?
Ho comprato il primo degli Apartments nel 1985 per una serie di motivi: era pubblicato su Rough Trade, vi era ospite Ben Watt e la rivista NME lo descrisse come album melanconico. Quello è un disco che ascolto almeno una volta l’anno soprattutto per la voce di Peter e per il suo modo meraviglioso di scrivere. Quando ho sentito il loro nuovo album, “No Song, No Spell, No Madrigal”, nel 2015, sono stato rapito di nuovo e allora ho dovuto per forza contattare Peter su Facebook chiedendo se avesse mai sentito parlare dei Piano Magic. Lui iniziò a citare “Comets” e la cosa mi ha sorpreso, mi ha sorpreso conoscesse a memoria le parole di quella canzone. Sono stato molto fortunato a collaborare con molti dei miei eroi e sì, hai ragione, considero questi dei regali che faccio a me stesso.

Ok, dai, ci ho girato intorno sufficientemente. Ti chiedo: come si scrive un album d’addio?
In realtà quando ho digerito che sarebbe stato l’ultimo mi sono sentito sollevato ma soprattutto libero di fare ciò che volevo. È stato comunque un duro lavoro e non tutti nella band sono convinti del risultato finale (io invece penso sia il miglior disco che abbiamo fatto). Ecco, vedi, anche queste opposizioni hanno appesantito la convivenza tra noi. Certo è che quando per la prima volta ho messo il vinile sul piatto e ho abbassato la puntina, mi sono rilassato: era ciò che volevo. E non mi importa se “Closure” non è recensito al top sui giornali o se non passa in radio, mi importa solo quello che questo disco rappresenta per me.

Quindi ci sono dei problemi tra di voi dietro la scelta di sciogliere la band?
Tutto era diventato una lotta. Come sollevare un masso pesante. E fare musica, invece, dovrebbe essere qualcosa di piacevole, sul palco e in studio. È stato bello, ci sono stati bei momenti, ma sono troppo vecchio per certe stronzate. Con i Piano Magic esistiamo da 20 anni, abbiamo realizzato 12 album più compilation e singoli ed è molto più di quanto hanno fatto altre band. Ora sento il bisogno di andare avanti a livello creativo perché quando suoni con le stesse persone per tanto tempo rischi di riproporre sempre la stessa musica. Io voglio esplorare altre strade. I Piano Magic erano nati per essere progetto multiforme, purtroppo ci siamo arenati nella norma.

In questi 20 anni quanto è cambiato il mondo della musica? E quanto sei cambiato tu come persona?
Eh, bella domanda! Vent’anni fa non pensavo che qualcuno volesse produrre la mia musica, ora invece sono nella condizione di produrmela da me. Quando abbiamo iniziato vendevamo poche centinaia di dischi, ora ne vendiamo poche migliaia. I Piano Magic non sono mai stati ricchi, non hanno mai avuto una hit, o un disco più popolare rispetto a un altro. Sono stati 20 anni di galleggiamento tra un’etichetta e un’altra, un disco e un altro, un tour e un altro. I membri della band andavano e venivano, alcuni non mi parlano più, ma ci sta. Forse il periodo più bello è stato quello di “Disaffected” nel 2005, ricordo alcuni concerti spettacolari: Ferrara, Perugia, Grotte di Castellana. Per quanto mi riguarda ora sono molto più esperto e, ti dirò, anche più entusiasta.

Anche Londra è cambiata. Dal multiculturalismo alla Brexit. Come la vivi questa cosa?
Londra è un melting pot culturale e ciò la rende così eccitante, infatti molti hanno votato contro Brexit per salvaguardare quest’aspetto. La chiusura agli europei, invece, renderà questo posto molto noioso, un posto molto “inglese”. Gli inglesi sono noiosi, almeno questa è la mia esperienza. Io mi sento come un cittadino europeo che deve scusarsi con i suoi vicini europei per questo terribile, terribile, terribile 52% che ha portato alla Brexit.

Glen, ti saluto e ti ringrazio per la chiacchierata. Anzi, un’ultima domanda: cosa c’è nel tuo futuro?
Ho in ballo alcune registrazioni. Ho iniziato un disco elettronico con il mio amico, ed ex-Piano Magic, Cedric Pin un paio di anni fa e ho molta voglia di lavorare su questo. Oltre a ciò, pubblicherò un album solista, un nuovo progetto studio-only o una nuova band. Non ho ancora deciso. Sono andato in Germania per la notte di Capodanno, ho preso una bronchite terribile ed è solo ora che mi sento di nuovo vagamente vivo. La musica può aspettare. Non mi salverà. Da nulla. Ma il silenzio sì.

A presto,
Glen,
ex-Magician.