Home INTERVISTE Steven Severin – “Glove 2? E’ solo questione di tempo…”

Steven Severin – “Glove 2? E’ solo questione di tempo…”

Novembre 2008: Lasciatosi alle spalle diciassette dischi con i Siouxsie And The Banshees, almeno vent’anni di dark, live in tutto il mondo, la definizione di un genere, di una filosofia, di una corrente, nel 1995, anno dello scioglimento della band, Steven Severin dovette reinventarsi artista e farlo in completa solitudine. Ma, soprattutto, dovette liberarsi in maniera definitiva dello spettro ingombrante di Siuoxsie, regina assoluta della scena. Ed è così che dopo un periodo di inattività, Severin è rinato realizzando quattro dischi da solista, ritagliandosi spazio come scrittore (“The Twelve Revelations”), pittore, produttore e fotografo (“Ho molta roba buona messa da parte: immagini dei Sex Pistols che non sono mai state viste”). Una seconda vita e carriera per l’ex basso dei Banshees che si racconta ai microfoni de Il Cibicida. Buona lettura.

Domanda: In che termini è cambiato il tuo modo di comporre e pensare musica rispetto a quando scrivevi brani in funzione di un disco? E’ difficile descrivere in musica una successione di momenti così come avviene nello sviluppo di una trama cinematografica?
Steven: Per molti, moltissimi anni, sono stato felice di lavorare all’interno dei confini di una band e di essere ispirato dal tentativo di spingere oltre questi limiti, ma dopo un po’ devi combattere contro le sensazioni preconcettuali delle persone, e quando il culto di Siouxsie crebbe mi sentii soffocare dal dover canalizzare tutto attraverso la sua “immagine” e in alcuni modi, attraverso la sua voce. Adesso ho cambiato questi confini con una nuova serie di discipline. Mi piace lavorare ai miei quadri perché, così come con le canzoni, non ci sono regole. Beh, probabilmente ci sono delle regole, ma essendo io autodidatta non me le sono inculcate. Sono le idee che mi accendono sia come creatore che come fruitore dell’arte. Alcune persone prendono una chitarra e mettono a nudo i loro sentimenti, mentre altri pensano che il lavoro sia già “lì fuori” che attende di essere incanalato. C’è abbastanza spazio per entrambi questi metodi, ma non nel mio mondo.

Domanda: Il tuo lavoro in “Nature Morte” ci ha fatto tornare in mente alcune atmosfere sonore dei primi film di Dario Argento (“Quattro mosche di velluto grigio”, su tutti). Si tratta di un artista che ti ha in un qualche modo influenzato?
Steven: I primi film mi hanno influenzato. La colonna sonora di “Suspiria” mi ha fatto stare seduto ad ascoltare. Penso che sia uno dei primi impieghi di quello che noi chiamiamo adesso “suond design”, ovvero un qualcosa che non è solamente musica da accompagnamento ma è un tipo di colonna sonora che può davvero “far vivere” il film. Con un film a basso budget come “Nature Morte” sai che non ci sarà alcun sound editor e che quindi dovrai miscelare e introdurre “altri” suoni all’interno della tua colonna sonora. Ciò mi condiziona per diversi aspetti, non solo perché sono un po’ un maniaco del controllo, ma anche perché devo ancora incontrare un “sound designer” con un osso musicale nel suo corpo. Ho chiuso con molti di loro per saperlo…

Domanda: Puoi dirci qualcosa di più circa la tua raccolta “The Twelve Revelations” e sulla tua collaborazione con Alan Moore?
Steven: “The Twelve Revelations” arrivò all’incirca durante uno degli interminabili periodi di inattività
degli ultimi anni. Immagino fosse la prima volta in cui abbia deliberatamente deciso di lavorare sopra qualcosa di lontano dai confini di cui ho parlato prima. Una volta capito che le parole non erano testi e che non stavo scrivendo per una particolare “voce”, allora tutto il progetto prese vita propria. E’ stato molto liberatorio ed estremamente necessario per me farlo in quel periodo. Sono stato messo in contatto con Alan attraverso l’editore di “The Twelve Revelations”. In quel periodo avevo la mia etichetta, la “RE:” e Alan ed un suo amico, Tim Perkins, avevano già realizzato un paio di album, quindi è stato molto semplice. E’ stato bello lavorare con loro, ma ho capito che non volevo avere una mia label. Mi piacerebbe fare di nuovo qualcosa con Alan. Un capitano in un mare di pesciolini.

Domanda: Che effetto ti ha fatto rispolverare il vecchio materiale dei Siouxsie And The Banshees?
Steven: Ti riferisci al tour di “Seven Year Itch”? Beh la mia parte preferita di quel processo creativo è stata registrare per i fatti miei! Siouxsie e Budgie si trovavano in Francia e non erano mai davvero usciti dal solito tram tram fino al primo scioglimento della band nel 1996, ed avevano continuato come The Creatures battendo la solita vecchia strada. D’altro canto, non toccavo un basso da sette anni, quindi avevo bisogno di stare in una stanza e chiarirmi le idee per una settimana o più. Non riesco a spiegarti quanto sia stato divertente. Sfortunatamente poi tutto andò a rotoli; ho pensato che stavamo covando una speranza segreta di continuare la grande avventura. Ciò non poteva essere, e quella porta è stata sbattuta, sprangata tre volte. Una porta senza nemmeno il buco della serratura. Infatti ho cancellato tutto dalla mia mente.

Domanda: John Cale è stato il vostro produttore ai tempi di “The Rapture”. Com’è stato lavorare con lui e, soprattutto, in che modo il suo contributo ha inciso sul risultato finale dell’album?
Steven: John è stato grande ma è arrivato in ritardo. Troppo in ritardo per salvare l’album, troppo in ritardo per salvare la band. Avremmo dovuto, col senno di poi, lavorare con lui molto prima, magari durante il primo periodo della band. Coinvolgerlo quando avevamo quasi finito un album è stato un tentativo disperato e uno sbaglio. Il risultato finale è un disco mezzo cazzuto e svogliato, non certo il lavoro che volevo lasciare in eredità. Ma, a essere sinceri, non ha mai avuto possibilità di successo. L’intero processo di rafforzare la scrittura dell’album perché suonasse come una band dal vivo è stata una tentativo terribilmente maldestro da parte di Siouxsie e Budgie. Non sarei mai dovuto essere d’accordo con ciò, ma lo sono stato, quindi accetto del tutto la mia parte di colpa nel fallimento.

Domanda: Grazie alla rimasterizzazione di “Blue Sunshine” il progetto The Glove sta vivendo una seconda giovinezza, tant’è che in tanti si chiedono se ci sarà mai un secondo album. Tu e Robert Smith non ci avete mai fatto un pensierino?
Steven: Riallacciare con Robert è stato bellissimo. Credo che entrambi avessimo la preoccupazione che tutti quegli anni di separazione avrebbero potuto cambiarci in maniera drammatica. Ma, mentre noi eravamo ovviamente cambiati, fondamentalmente il nostro rapporto non lo era. Dopotutto, abbiamo entrambi iniziato talmente giovani che stiamo ancora seguendo le nostre muse, solo poche persone della nostra generazione possono davvero comprendere cosa intendo. Non dimenticare che The Glove, nell’essenza, è un progetto squisitamente solitario, quindi, per noi, ritrovarci insieme è il migliore dei divertimenti. Sì, abbiamo parlato di Glove 2 e Robert ha detto “è solo una questione di tempo”.

Domanda: Cosa prevede il futuro di Steven Severin?
Steven: Mi sto davvero divertendo con ciò che faccio adesso ed intravedo diverse possibilità di esprimermi. Mi piace fare i miei show da solo, quindi spero di farne molti altri prossimamente. In questo periodo sto portando a termine un progetto che mi ha occupato la maggior parte del tempo: una serie di documentari televisivi, in sei parti, girati per Channel Four, ed intitolati “The Ascent Of Money – A Financial History Of The World”. Per il momento ho scritto altre due ore di materiale nuovo e mi e sono chiuso a lavorare così a lungo che sto scoppiando per completare tutte le altre idee che intanto ho lasciato fermentare. Non voglio rivelare troppo, ma spero che, nella prima metà del prossimo anno, usciranno almeno due nuovi album del mio progetto solista. Spero, inoltre, di esibire una parte del mio ampio archivio di fotografie l’anno venturo. Ho molta roba buona messa da parte che dovrebbe essere vista, e non solo per la sua valenza storica: immagini dei Sex Pistols, per esempio, che non sono mai state mostrate e anche tonnellate di “dietro le quinte” dei Banshees. Dal mio punto di vista, almeno per una volta, si tratta di un simpatico ritorno al passato.

* Traduzione a cura di Giovanna Castano
* Foto d’archivio

A cura di Vittorio Bertone