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A Dog Called Ego – Paper Boat

C’è qualcosa di straordinariamente umano, e quindi musicale, nel modo in cui gli A Dog Called Ego tornano a farsi sentire con Paper Boat. Non si tratta di una semplice raccolta di canzoni, ma di un manifesto emotivo in forma sonora. Un diario invernale registrato durante i mesi freddi del 2024/2025, ma che brucia di un’intensità calda e pulsante. Il cuore, infatti, è ancora lì. E batte forte. Con il secondo singolo Hollow Tree, gli storici post rocker di Amburgo ci consegnano un brano che non urla, ma sussurra e poi esplode, come solo certe consapevolezze riescono a fare. È un inno malinconico a chi non ha mai smesso davvero, anche se per anni ha detto il contrario. “Facevo musica,” si diceva. Ma “Paper Boat” è la prova che non si smette mai davvero. Non se ce l’hai dentro.

La cifra stilistica è chiara: atmosfere sospese, dinamiche in tensione, paesaggi sonori che si aprono in climax emotivi. La band affonda le radici nel terreno fertile del post rock, quello cinematico e stratificato, ma ci innesta un’anima prog e un approccio quasi spirituale. Non si limitano a suonare: costruiscono architetture sonore in cui è bello perdersi. Gli echi di Pink Floyd, King Crimson e Porcupine Tree ci sono, certo, ma non fanno mai ombra. Gli A Dog Called Ego hanno una voce tutta loro, maturata nel silenzio e nella costanza. Hollow Tree è costruito con precisione emotiva: chitarre riverberate, synth ambientali, una batteria che entra in punta di piedi e poi cresce, cresce, cresce. Il cantato di Christoph Härtwig è una carezza che si fa graffio, alternando timidezze sussurrate a fiotti di pathos nei crescendo finali. La produzione è impeccabile: ogni suono ha un suo posto, ogni effetto è lì per una ragione, ogni silenzio ha il peso di una nota non suonata.

Il singolo, pur muovendosi all’interno di una struttura post rock ben conosciuta (quiet-loud-quiet), riesce a mantenere un’identità forte, grazie soprattutto a un sound che unisce intimità e potenza, introspezione e tensione drammatica. È una corsa lenta verso un’esplosione che non è mai violenta, ma sempre catartica. Il primo singolo Holding Hands aveva mostrato il lato più rarefatto e contemplativo dell’album, più vicino a una colonna sonora esistenziale che a un pezzo rock da scaletta. Hollow Tree, invece, porta l’energia necessaria per ricordarci che il cuore del progetto “Paper Boat” è fatto di equilibrio: introspezione e narrazione, tensione e rilascio. È musica che ti prende la mano, ma ti chiede di guardarti dentro.

Non tutto è rivoluzionario, intendiamoci. A volte si ha la sensazione di essere già stati qui, di conoscere queste progressioni, questi pattern emozionali. Ma è proprio qui che sta il valore: non nell’innovazione sterile, ma nell’eleganza dell’evoluzione. Gli A Dog Called Ego non vogliono stupire, vogliono toccare. E ci riescono. “Paper Boat” è il disco di una band che ha imparato a suonare non solo con gli strumenti, ma con il tempo. È un’opera stratificata e viscerale, che non ha bisogno di gridare per essere ascoltata. Una barca di carta, sì, ma costruita con mani esperte e cuore pieno. E che, nonostante le onde, galleggia ancora.

2025 | Happy Apocalypse

IN BREVE: 3,5/5

Cinzia Milite
Classe '64. Nella vita faccio un sacco di cose rispettabili: pubblico libri per adulti e bambini, gestisco un blog letterario e faccio finta di sapere sempre dove sto andando. Eddie Vedder è mio fratello d’anima. Se fossi un animale, sarei un cane che dorme. Do Not Disturb.